Dopo quattro giorni di trattative, il Consiglio europeo sembra aver trovato la quadra sul Recovery fund. Come chiesto dai cosiddetti Paesi frugali, i 500 miliardi di stanziamenti a fondo perduto proposti dalla Commissione diventano 390. Inoltre, attraverso un meccanismo ribattezzato “freno di emergenza”, uno degli Stati membri potrà chiedere una verifica dell’attuazione dei piani di riforma di uno dei Paesi beneficiari nel caso ritenga non li stia rispettando. La valutazione e l’eventuale blocco dei fondi sarebbe compito della Commissione o del Consiglio. Come ci conferma Sergio Cesaratto, professore di Politica monetaria europea all’Università di Siena, non si può dire che l’Italia esca da questo vertice con un buon accordo. Viene però dimostrato «quanto ho già avuto modo di sottolineare in passato, ovvero che la parola solidarietà europea è una parola vuota».



In che senso?

L’Europa non è una nazione; è fatta di nazioni i cui cittadini non si sentono parte di un’entità collettiva. Ci può essere quindi una solidarietà in senso caritatevole, di raccolta di fondi volontari, ma non quella che ci si aspetta da uno Stato sovranazionale. Sono sempre stato convinto che i tentativi di costruire in Europa un embrione di Stato federale, minimamente e seriamente redistributivo, sarebbero falliti perché i Paesi chiamati a dare di più si sarebbero rifiutati di farlo. Eppure ci sarebbe stata un’alternativa ai “veti” dei frugali.



A che cosa si riferisce?

Il Trattato di Lisbona prevede che nove Paesi, se vogliono, possono prendere iniziative per velocizzare il percorso unitario dell’Ue. Anche per questo in passato si era parlato di Europa a due velocità. Questo vuol dire che se Germania e Francia avessero voluto prendere un’iniziativa per procedere in una direzione più federale, di cui il Recovery fund con tutti i suoi limiti poteva essere un primo step, ci sarebbe stata la maniera di isolare Olanda, Austria, Svezia e Danimarca.

Vuol dire allora che la posizione dei Paesi frugali non dispiace molto alla Germania…



Evidentemente no, altrimenti avrebbe utilizzato questo strumento istituzionale per isolarli. Da parte tedesca c’è stata solo l’iniziativa, coordinata con la Francia, per promuovere il Recovery fund – il cui ammontare non è certo sufficiente a superare la crisi, anche nella versione più “coraggiosa” della Commissione – in modo da evitare che saltasse l’Italia e con essa l’euro.

Alla luce di quanto accaduto a Bruxelles in questi giorni sembra che il tour di Conte in alcune capitali europee nei giorni scorsi non sia servito a molto.

Di fatto il Premier italiano non ha smosso nulla rispetto alle attese, perché è vero che i Paesi del Mediterraneo si sono mossi di concerto, ma questo era nelle attese. Farei in ogni caso molta attenzione in Italia a parlare di risorse a fondo perduto.

Perché?

Perché i “grants” sono fondamentalmente dei sussidi che vanno restituiti. Hanno l’indubbio vantaggio di avere tassi di interesse bassissimi e tempi di rimborso molto lunghi, oltre a non essere conteggiati nel debito pubblico. Quello che l’Italia riceverà realmente a fondo perduto, considerando anche i contributi del nostro Paese al bilancio europeo, è una cifra intorno ai 6-7 miliardi miliardi l’anno per quattro anni. Poca roba se consideriamo che l’Italia è datore netto all’Ue di una cifra analoga ogni anno.

L’esito di questo Consiglio europeo rende di fatto inevitabile per l’Italia il ricorso al Mes?

Sembrerebbe di sì, molto dipenderà anche dai rapporti di forza nella maggioranza. Sarà in ogni caso interessante vedere quali condizionalità già ci saranno con il Recovery fund. Il ricorso al Mes non risolve però i problemi italiani: avremmo un prestito, quindi risorse da restituire, per investimenti nella sanità, non da usare liberamente per stimolare la crescita. Molto dipenderà anche da come andrà l’epidemia. Se le cose si metteranno male diventerà ancora più difficile fare in modo che questi fondi si trasformino in sviluppo e non in mero sostegno ai redditi, e immaginare quindi di poterli restituire. Per carità, il sostegno ai redditi sorregge anche la domanda interna, ma ciò non dovrebbe andare a discapito di importanti misure di politica industriale, infrastrutture, modernizzazione. L’ideale sarebbe riuscire a trovare un giusto mix tra sostegno ai redditi e investimenti. Non è facile e purtroppo da parte dell’opposizione non sembra arrivare altro che demagogia.

(Lorenzo Torrisi)