Ha lavorato alacremente sin dal primo giorno a Palazzo Chigi per accreditarsi in capo internazionale, Giorgia Meloni. Quasi all’improvviso, però, tutto il suo sforzo sembra vacillare. Eppure se l’era cavata egregiamente: aveva saputo creare un rapporto di stima con Joe Biden, suggellato dal bacio sulla testa ricevuto tre settimane fa alla Casa Bianca. E in Europa, con pazienza e abilità era stata in grado di far crescere un asse privilegiato con la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen.



Ora due notizie, in apparenza slegate fra loro, fanno accendere l’allarme rosso. La prima viene da Washington, dove il Dipartimento di Stato, guidato da Anthony Blinken, ha bloccato la proposta di dichiarazione sulle elezioni russe formulata dalla presidenza italiana del G7. Un testo che conteneva la definizione di “elezioni farsa”, usata dalla Meloni in Senato, e che aveva ricevuto parere favorevole dal consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jack Sullivan. Nessuna “farsa”: meglio essere prudenti, ragionano al Dipartimento di Stato, e non chiudere ogni spiraglio di trattativa, visto che l’Ucraina è sempre più in difficoltà. Insomma, il leader legittimo della Russia è ancora Putin.



Per la Meloni è un passaggio su cui riflettere: i prossimi sette mesi dovranno essere vissuti tenendo ben presente la campagna elettorale USA, dove nulla è deciso e dove si potrebbe verificare un clamoroso ritorno alla Casa Bianca. Scenario davanti al quale non ci si può far trovare impreparati, specie nell’anno in cui è proprio l’Italia ad avere in mano la presidenza del G7.

La seconda notizia poco rassicurante per la premier è l’accusa mossale in parlamento dalla leader del PD, Elly Schlein, quella di essersi eccessivamente appiattita sulla von der Leyen. Accusa bizzarra, dal momento che i democratici votarono nell’Europarlamento a favore dell’ex ministra della Difesa tedesca. Ma se si osserva meglio cioè che sta accadendo a livello europeo, dove gli scenari mutano rapidamente, si capisce. Che a essere in difficoltà sono in due. Meloni potrebbe vedere sfumare la possibilità di spostare a destra l’asse della politica europea, contribuendo con il raggruppamento dei Conservatori (ECR), di cui è tuttora leader, al bis di von der Leyen. Ci ha sperato tanto, e rappresenta ad oggi l’unica maniera possibile di entrare nella “stanza dei bottoni” dell’Unione, che sinora l’ha vista solo sulla soglia.



Pure per la presidente uscente della Commissione europea l’orizzonte si è fatto fosco: al congresso del PPE ha ottenuto l’investitura come candidata con 400 voti a favore e 89 contrari. Non è però una vittoria ampia, perché non ha partecipato al voto quasi la metà dei delegati, che erano 801. Ce n’è a sufficienza per temere che si possa replicare quanto accadde cinque anni fa a Manfred Weber: incoronato spitzenkandidat dai popolari, vide naufragare la propria candidatura nell’emiciclo di Strasburgo, e dovette cedere il passo proprio alla von der Leyen, che nel voto di fiducia prevalse per appena 9 voti in più della maggioranza necessaria (i sì furono 383), dovendo registrare circa 75 franchi tiratori fra popolari, socialisti e liberali che la sostenevano, almeno sulla carta. Decisivi furono allora i 14 europarlamentari grillini.

In realtà, se i partiti europei fossero minimamente compatti, l’attuale maggioranza non avrebbe problema a riproporsi anche nella prossima legislatura, magari convergendo su un candidato differente da von der Leyen. Perché il PPE secondo tutti i sondaggi è avviato a conservare la maggioranza relativa anche nella prossima euro-legislatura, ma potrebbe essere costretto a cambiare cavallo. Lo indicano proprio le parole di Schlein: se Meloni è troppo appiattita su Von der Leyen, il ragionamento si può anche ribaltare.

La premier è avvisata: deve muoversi con circospezione per non ritrovarsi isolata. Il riconoscimento del buon lavoro come guida del G7 venuto ieri dal segretario generale ONU Guterres è utile, ma non basta. Il vertice a tre della scorsa settimana fra Francia, Germania e Polonia sull’Ucraina dimostra che per finire emarginati in Europa basta davvero poco. Basta un attimo di distrazione.

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