Di grande interesse la notizia delle modifiche alle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale che estendono a soggetti istituzionali, ad enti non profit e ad esperti la possibilità di intervenire nel processo costituzionale. Esse segnano un importante cambiamento nel modo con cui vengono istruite la cause davanti alla Corte stessa, ampliando in modo significativo il novero dei soggetti in grado di offrire il loro apporto di conoscenza sia sulle questioni giuridiche sia su elementi fattuali relativi alle decisioni del massimo organo di giustizia costituzionale, un organo che ha tra i suoi poteri anche quello – delicatissimo – di annullare le leggi approvate dal Parlamento.



Negli scorsi decenni la Corte ha introdotto diverse modifiche al suo modo di procedere e di decidere sulle questioni poste alla sua attenzione dai giudici o dai diversi poteri dello Stato. Il passo di oggi, che si inserisce in questo canale, ha una rilevanza che va oltre le singole questioni di dettaglio; esso esprime una più matura consapevolezza del senso dell’attività della Corte, non più chiusa in una sorta di torre d’avorio in cui conta solo il confronto astratto tra la norma costituzionale che si presume violata e il testo normativo su cui insiste il dubbio di costituzionalità.



Questo “confronto”, cuore del giudizio di costituzionalità, si è già arricchito in molte importanti sentenze di riferimenti ai fatti, alle conoscenze scientifiche, ai progressi della scienza e della tecnica, alle acquisizioni della sociologia e della psicologia, alle regole dell’economia e della scienza delle finanze, segno di un raggio d’azione che si è andato ampliando e che ha reso le scelte compiute dalla Corte sempre più aperte ai segni dei tempi.

Resta, è ovvio, la responsabilità ultima di chi è chiamato a decidere in ultima istanza, di chi ha l’onere di giudicare senza lo scudo di un ulteriore controllo che non quello del proprio self restraint. E tuttavia la facoltà che ora viene ufficialmente conferita a soggetti esterni al processo (e quindi non formalmente parti del processo stesso) di dare il proprio apporto di scienza e di conoscenza alle questioni da decidere, consente di arricchire, estendendolo, il dibattito sul caso e di mettere a disposizione dei giudici conoscenze nuove o aspetti che, in una società sempre più complessa come quella attuale, potrebbero anche restare sotto traccia.



Conoscere di più per giudicare meglio: questa pare essere la ratio delle nuove norme. Esse concretizzano un sentimento che certamente alberga in seno alla Corte, quello di essere strutturalmente parte di un processo decisionale non chiuso in sé stesso, ma aperto agli apporti di chiunque si senta di avere alcunché da dire su questioni tanto delicate e cruciali quali quelle che sempre di più la Corte è chiamata a dirimere.

Ad un tempo, questo passo chiama in causa la società tutta, sollecitata a esercitare questa nuova forma di partecipazione tramite i propri soggetti istituzionali, gli enti di terzo settore e il mondo dei tecnici, esperti dei loro specifici settori. Essi possono ora partecipare a pieno titolo con impegno e senso di responsabilità allo svolgimento di un compito, quello del controllo sulla costituzionalità delle leggi emanate dal Parlamento, che – pur conferito a uno degli organi supremi – tuttavia non deve essere sentito come estraneo e lontano, ma deve e può essere ricompreso tra quei doveri di solidarietà, l’esercizio dei quali rientra appieno nella sfera di chi si sente parte attiva di un contesto sociale democratico.

Se la Corte ha aperto, dunque, adesso tocca a chi si sente davvero coinvolto nelle scelte fondamentali del Paese farsi avanti e dare il proprio contributo, senza lasciare questo compito a un gruppo ristretto di interessati, talora determinati solo dai propri interessi e non da una passione sincera per il bene comune.