CORTE COSTITUZIONALE ANNULLA ATTO CAMERA: “NON POTEVA NEGARE INTERCETTAZIONI SU FERRI”
La Corte Costituzionale in data 20 luglio ha di fatto “riaperto” il caso Palamara, quantomeno nella ricostruzione di quanto avvenuto l’ormai lontano 9 maggio 2019 con la riunione all’Hotel Champagne di Roma dove alcuni consiglieri del CdM discutevano della “corsa” alla Procura di Roma. Tra di loro era presente il deputato Pd Cosimo Ferri (già capocorrente di Magistratura Indipendente), protagonista del ricorso accolto oggi dalla Consulta.
In sostanza, la Corte ha annullato la decisione della Camera che non aveva concesso l’uso di intercettazioni – su richiesta del Consiglio Superiore della Magistratura – proprio sulle ore del vertice “segreto” all’hotel romano: è stato accolto infatti il ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dalla sezione disciplinare del Csm sul “caso Ferri”. «La deliberazione in data 12 gennaio 2022 con cui la Camera dei deputati ha negato alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura l’autorizzazione all’utilizzo delle captazioni che hanno coinvolto l’on. Cosimo Maria Ferri, magistrato fuori ruolo per mandato parlamentare, è stata annullata, perché ritenuta in contrasto con l’art. 68, terzo comma, della Costituzione», si legge nel giudizio pubblicato dal portale della Corte Costituzionale.
LA SENTENZA DELLA CONSULTA “RIAPRE” IL CASO PALAMARA
All’origine del conflitto oggi “riaperto” con la sentenza n.157 della Consulta – redattore il magistrato togato Stefano Petitti – vi era la richiesta di autorizzazione della Sezione disciplinare del CSM all’utilizzo di intercettazioni acquisite nell’ambito del procedimento penale promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia a carico di altri (ricordiamo che tutti i presenti alla riunione segreta in hotel, da Luca Palamara ad altri consiglieri all’epoca in Csm fino ai due deputati Ferri e Luca Lotti furono condannati dalla Sezione disciplinare alla sospensione dalle funzioni e dallo stipendio da un minimo di 9 mesi a un massimo di un anno e mezzo). Oggi la Consulta ha stabilito che la Camera non poteva negare l’uso delle intercettazioni in merito all’ex parlamentare Cosimo Ferri.
La Corte Costituzionale ha stabilito oggi che invece l’utilizzo di quelle intercettazioni non richiedesse, come invece sostenuto dalla Camera dei Deputati nella deliberazione in data 12 gennaio 2022, l’autorizzazione preventiva a norma dell’articolo 4 della legge n.140/2003 «non risultando che l’attività di indagine “fosse univocamente diretta a intercettare anche le comunicazioni dell’on. Ferri”». Proprio per il fatto di aver negato tale autorizzazione (sul presupposto dell’assenza di un’autorizzazione preventiva) in realtà non necessaria, la Camera «ha quindi esercitato sì attribuzioni ad essa in astratto spettanti, ma, in concreto, travalicandone i limiti». In definitiva, la Consulta ha stabilito che la richiesta di autorizzazione avanzata dal Csm «richiede una nuova valutazione, da parte della stessa Camera dei deputati, della sussistenza dei presupposti ai quali l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata». Ferri all’epoca si era rivolto all’aula di Montecitorio – che gli aveva dato ragione – sostenendo che le intercettazioni della procura di Perugia non potevano essere utilizzate dal Csm in quanto lui era un parlamentare. Il Csm invece ha trovato oggi nella Consulta chi gli ha dato ragione, sollevando un conflitto tra poteri. Come rileva “Il Fatto Quotidiano”, l’indagine di Perugia «riguardava l’ipotesi di corruzione per Luca Palamara che poi ha successivamente patteggiato una pena per traffico di influenze per i suoi rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti. Non era quindi Ferri il bersaglio delle intercettazioni».