Dopo le dichiarazioni rese dal professor Nicolò Zanon nei giorni scorsi in merito alla sentenza sul caso Cosimo Ferri e la vicenda delle intercettazioni ai politici, la Corte costituzionale interviene ritenendo «doveroso fornire alcune precisazioni». Non erano passate sotto traccia, infatti, le rivelazioni dell’ex vicepresidente della Corte, rese a Milano lo scorso 13 dicembre in occasione della presentazione di un libro e riprese dai media, in merito alla sentenza n. 157 del 2023, sul conflitto di attribuzioni che ha riguardato l’onorevole Ferri. Con un comunicato stampa la Consulta precisa che «i riferimenti alla discussione in camera di consiglio – la cui riservatezza è posta a garanzia della piena libertà di confronto tra i giudici e dell’autonomia e indipendenza della Corte – hanno ingenerato una rappresentazione distorta delle ragioni sottese alla decisione».



D’altra parte, la Corte costituzionale precisa di aver preso atto che lo stesso Zanon, attraverso una successiva lettera pubblicata da un organo di stampa, ha chiarito «di non aver mai parlato di “pressioni” sulla Corte costituzionale», rammaricandosi che le sue parole abbiano potuto «ingenerare ricostruzioni che danneggiano l’istituzione». Tornando alla sentenza, la Consulta ribadisce che «sulla base di una attenta valutazione dei fatti di causa», di cui ha dato conto nelle motivazioni, «ha ritenuto legittime le intercettazioni disposte nel procedimento penale». Al tempo stesso, ha «rimesso al Parlamento di valutare se autorizzare o meno la sezione disciplinare del CSM a utilizzare le intercettazioni nell’ambito del giudizio disciplinare contro l’onorevole Ferri». Ed è in questa direzione che la Camera si è attivata.



CONSULTA “DIVERSITÀ DI OPINIONI SONO FISIOLOGICHE”

La Corte costituzionale attraverso il suo comunicato ricorda che, interpretando e applicando le norme costituzionali ai casi concreti, «è fisiologico che vi possano essere diversità di opinioni tra i singoli giudici, come accade del resto in ogni organo giurisdizionale collegiale». In questi casi la decisione viene adottata a maggioranza, vincolando l’intera Corte, compresi i giudici dissenzienti. La prassi prevede, in conformità con la disciplina processuale (art. 20 delle “Norme integrative”), che il giudice della Consulta originariamente designato come relatore possa chiedere l’esonero dalla redazione della motivazione, e che il presidente designi in tal caso un diverso giudice redattore.



Per quanto riguarda poi l’affermazione del professor Nicolò Zanon, secondo cui la Corte costituzionale avrebbe deciso il caso «esattamente in senso contrario» a quanto deliberato con la sentenza n. 170 del 2023, relativa al caso Renzi, «va evidenziata la netta differenza tra le due questioni». La sentenza sul caso Ferri «riguardava i limiti della garanzia costituzionale dei parlamentari rispetto alle intercettazioni», invece quella sul caso Renzi riguardava «il sequestro di corrispondenza scritta (via whatsapp e e-mail) con un parlamentare». Infine, la Consulta rimarca il suo ruolo di istituzione di garanzia, a tutela dei diritti fondamentali e dell’equilibrio tra i poteri. «Naturalmente, tutte le sue sentenze possono essere criticate. Tuttavia, esse devono essere valutate non in ragione di asseriti “non detti”, bensì per la maggiore o minore persuasività delle loro motivazioni».