La richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro non può essere respinta automaticamente se lo straniero è condannato per reati di lieve entità. Lo stabilisce la Corte Costituzionale, con una sentenza, la n. 88 con relatrice Maria Rosaria San Giorgio, che è stata depositata oggi. La decisione sul rinnovo, quindi, spetta al questore, che deve valutare la pericolosità sociale dei migranti che ne fanno richiesta prima di negare il permesso.
La Consulta ha dichiarato così la illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. numero 286 del 1998 (Testo Unico Stranieri), nella parte in cui includono tra le ipotesi di condanna che impediscono automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle per il reato di cui all’articolo 73, comma 5, del d.P.R. numero 309 del 1990 (Testo Unico Stupefacenti), cosiddetto “piccolo spaccio”, e per il reato di cui all’articolo 474, comma 2, del codice penale, cioè la vendita di merci contraffatte, senza prevedere la verifica della pericolosità sociale del richiedente da parte dell’autorità competente. A sollevare le questioni di costituzionalità era stato il Consiglio di Stato nell’ambito di due giudizi legati a ricorsi presentati da stranieri, la cui richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stata rifiutata a causa delle condanne per i reati predetti.
PERMESSO DI SOGGIORNO MIGRANTI, CONSULTA: IRRAGIONEVOLE L’AUTOMATISMO DEL RIFIUTO
La Corte Costituzionale ha chiarito nelle motivazioni che il legislatore è titolare di un’ampia discrezionalità nel regolamentare l’ingresso e il soggiorno dei migranti sul territorio nazionale, ma entro il limite di un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti. Alla luce della minore entità dei reati considerati (illecita detenzione di sostanze stupefacenti in un caso e vendita di prodotti con segni falsi nell’altro), la Consulta ha considerato “manifestamente irragionevole” l’automatismo del rifiuto, da diversi punti di vista. In primis, perché “per le stesse condanne, nell’ambito della disciplina dell’emersione del lavoro irregolare, volta al medesimo scopo del rilascio del permesso di soggiorno, quest’ultimo non è automaticamente escluso“, ma anzi serve una valutazione della pericolosità dello straniero. Inoltre, perché l’automatismo del rifiuto, in riferimento agli stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale, e che hanno avviato un processo di integrazione sociale, “è in contrasto con il principio di proporzionalità“. In quest’ultimo caso si fa riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’art. 8 CEDU.
PERMESSO DI SOGGIORNO MIGRANTI, CONSULTA: DI COSA BISOGNA TENER CONTO
Secondo la Consulta, può verificarsi il caso in cui la condanna “non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo, e ciò per varie ragioni“. Questo in caso di lieve entità dei reati, per le circostanze del fatto, per il tempo trascorso da quando è stato commesso, per il livello di integrazione sociale raggiunto nel frattempo. Di conseguenza, quando si esamina la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l’autorità amministrativa, precisa la Consulta, deve tener conto di questi elementi per “evitare che la sua valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall’art. 8 CEDU“. Infine, la Corte Costituzionale ha rimarcato che l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico “non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa competente operi, in presenza di una condanna per i reati di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato, a sua volta soggetto ad eventuale sindacato di legittimità del giudice“.