Storica sentenza della Consulta, che riconosce il diritto alla sessualità in carcere. Il magistrato di Sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale sull’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario, in base al quale i detenuti non possono avere colloqui intimi, anche quelli a carattere sessuale, con una persona convivente non detenuta, senza la presenza di un controllo a vista del personale di custodia. La disposizione è stata contestata perché contrastante con diversi articoli della Costituzione italiana e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La questione è stata accolta dalla Consulta, secondo cui è fondata, infatti ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questa disposizione. La sentenza riconosce il diritto dei detenuti di avere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con il coniuge, l’unione civile o la persona con cui è convivente stabilmente.
Di fatto, viene riconosciuto il diritto ad una vita privata anche in carcere. In particolare, con questa decisione la Corte costituzionale evidenzia l’importanza di bilanciare la sicurezza in carcere col rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti. Questa sentenza non ha un impatto diretto solo sulla vita dei detenuti, ma potrebbe portare ad una revisione più ampia delle normative che regolano la detenzione, con l’obiettivo di garantire un trattamento umano e rispettoso della dignità delle persone detenute. Come rimarcato dal Dubbio, la decisione della Consulta riflette l’evoluzione della giurisprudenza nel riconoscimento e nella protezione dei diritti fondamentali, anche in ambiti di restrizione della libertà personale.
“RIFORMA ORDINAMENTO PENITENZIARIO PROMUOVE INCONTRI TRA DETENUTI E FAMILIARI”
Per il magistrato di Sorveglianza, il controllo a vista sui colloqui implica una restrizione per il detenuto all’esercizio dell’affettività, soprattutto in ambito sessuale. Inoltre, nel ricorso ha argomentato che la norma contestata rappresenta una limitazione ingiustificata dei diritti fondamentali dei detenuti. In primis, va contro la finalità rieducativa della pena, mettendo a rischio stabilità familiare e salute psicofisica dei detenuti nelle carceri. Ma ha anche rimarcato la contrarietà della norma all’indirizzo generale della riforma dell’ordinamento penitenziario, che invece promuove incontri tra detenuti e familiari in un contesto riservato. Questa discrepanza con gli obiettivi della riforma ha portato il magistrato a concludere che la norma è incostituzionale, perché viola i principi fondamentali di libertà, dignità e tutela della famiglia.
Dunque, ha sollevato la questione alla Consulta che con la sua sentenza ha censurato la parte della normativa che impone in maniera inderogabile il controllo a vista durante i colloqui dei detenuti. Peraltro, è stato rimarcato che la maggior parte degli ordinamenti europei concede ai detenuti spazi di espressione dell’affettività, come la sessualità, sottolineando la necessità di adottare un approccio più equilibrato e umano nel trattamento dei detenuti. Come riportato dal Dubbio, la Consulta auspica un’azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria. Ma i cambiamenti vanno affrontati gradualmente, tenendo conto delle competenze specifiche di ogni entità coinvolta. Infine, la Corte costituzionale ha chiarito che tale sentenza non riguarda però il regime del 41 bis, né i detenuti sottoposti a sorveglianza particolare di cui all’articolo 14-bis.