I redditi delle famiglie italiane, soprattutto al Nord, dove la ripresa dell’economia post-Covid è stata più forte, sono aumentati, come ha ricordato l’Istat mercoledì. Tuttavia, se il Pil ha già recuperato i livelli pre-pandemici, ha osservato la scorsa settimana il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, lo stesso non può dirsi per i consumi, ancora inferiori, nel 2022, di circa 20 miliardi di euro rispetto ai livelli del 2019. «La ripresa c’è, ma il carovita sta incidendo molto sul potere d’acquisto degli italiani complicando il quadro», ci dice Augusto Patrignani, Presidente di Confcommercio della provincia di Forlì-Cesena.
Andrebbero allora aumentati i salari…
Non tutte le imprese hanno i margini per poterlo fare. Non dobbiamo dimenticare che tra Covid e crisi energetica hanno dovuto affrontare delle difficoltà e qui in Romagna c’è chi dovrà fare i conti con le conseguenze dell’alluvione. Se il Governo agisse sulla leva fiscale, magari con una decontribuzione dei premi di produzione, probabilmente si offrirebbe a più aziende la possibilità di rendere un po’ più pesanti le busta paga dei propri dipendenti. La via maestra resta comunque quella del taglio del cuneo fiscale, con una conferma di quello in scadenza a fine anno e possibilmente un suo ampliamento.
Come si spiega, a suo avviso, un “buco” di 20 miliardi di euro nei consumi degli italiani rispetto al pre-Covid?
Il problema principale è rappresentato dall’inflazione. Il reddito degli italiani, come dice l’Istat, è aumentato, ma non a sufficienza rispetto al rialzo dei prezzi. Si sono anche assottigliati i risparmi e la capacità stessa di risparmio è diminuita proprio perché il carovita sta mordendo sempre di più. Non dobbiamo poi dimenticare l’effetto dell’aumento dei tassi di interesse sulle rate dei mutui. Tutto questo contribuisce a creare un’incertezza che non aiuta i consumi, perché arrivare alla fine del mese sta diventando sempre più complicato.
Questo può creare dei problemi per la crescita italiana, che l’Istat prevede sarà trainata, sia quest’anno che il prossimo, dalla domanda interna e dai consumi?
Fino a un certo punto, perché comunque gli italiani dovranno consumare. Semmai si arriverà a delle scelte relative ai consumi, se ne taglieranno alcuni. Quindi, il Pil complessivamente crescerà, ma ci saranno settori che faranno più fatica e incontreranno difficoltà rispetto ad altri.
Prima ha parlato dell’effetto negativo dei tassi di interesse. Pensa che la Bce dovrebbe quindi fermarne il rialzo?
In linea di principio verrebbe da rispondere di sì, ma va anche detto che se si passasse a una diminuzione dei tassi l’inflazione potrebbe tornare a salire. Siamo in un momento complicato, non è facile trovare l’equilibrio ottimale. Agire, però, sul cuneo fiscale potrebbe contribuire a dare respiro al potere d’acquisto degli italiani mentre i tassi di interesse continuano a svolgere la loro azione di contrasto all’inflazione.
Dall’indagine Istat sulle condizioni di vita e i redditi delle famiglie emerge ancora un divario tra Nord e Sud Italia, con il secondo che resta l’area del Paese con la percentuale più alta di persone a rischio di povertà, nonostante sia anche quella dove vengono percepiti più sussidi. Come si può intervenire per cambiare rotta?
Questo è purtroppo un problema che ci trasciniamo da decenni. Gli investimenti fatti nel Mezzogiorno non hanno dato i risultati sperati. Sarebbe importante che quest’area del Paese cominciasse a svilupparsi: ne avrebbe giovamento il Pil di tutta la nazione. Io non so se l’autonomia differenziata possa essere la risposta giusta, ma sicuramente il modello finora utilizzato non ha funzionato e quindi può valer la pena cambiare, apportando magari delle modifiche, se necessarie, lungo il percorso.
(Lorenzo Torrisi)
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