Il Covid cambia le modalità di spesa degli italiani. Le restrizioni agli spostamenti imposte dall’emergenza sanitaria e la paura di esporsi al contagio al momento degli acquisti portano a diminuire le occasioni di accesso ai punti di vendita. E in questa precisa prospettiva si inserisce l’evoluzione del consumo di uno dei prodotti base della nostra dieta: il latte.



I dati parlano chiaro: secondo le rilevazioni dell’EngageMinds HUB (il Centro di ricerca dell’Università Cattolica che si occupa di psicologia dei consumi) effettuate tra febbraio e dicembre 2020 su un campione di 4.000 individui rappresentativi della popolazione italiana, il 55% degli intervistati ha consumato nell’ultimo mese “sempre” o “quasi sempre” latte a lunga conservazione, quello per intenderci identificato con la sigla Uht. Percentuale che – secondo il “Food engagement” indicatore elaborato dal Centro di ricerca dell’Università Cattolica di Cremona che riassume il coinvolgimento attivo dei consumatori nelle proprie scelte alimentari – sale al 62% nel caso dei soggetti che mostrano un livello di engagement elevato, che utilizzano cioè il cibo come fattore identitario e considerano la propria alimentazione come luogo della progettazione di sé.



“Il prodotto a lunga conservazione – commenta Guendalina Graffigna, Ordinario di Psicologia dei consumi e della salute e direttore dell’EngageMinds HUB – ha raggiunto un picco a maggio 2020, quando è stato assiduamente acquistato dal 60% degli italiani, il trend è poi rallentato a settembre con una quota calata al 53%, ma risalito a dicembre al 55%. E questi dati ci indicano che il consumo di latte risponde alle dinamiche che hanno interessato cibi considerati essenziali e di utilizzo constante: per la maggioranza degli italiani è stato infatti importante garantire la presenza di questo alimento nella propria dieta, ma è stato possibile rinunciare alla promessa simbolica – ed edonica – della freschezza per garantirsi sul piano psicologico un maggiore senso di protezione”.



L’identikit di chi acquista Uht

Ad acquistare più latte Uht della media nazionale (59% rispetto a 55%) – rivela sempre la ricerca, che rientra nelle attività del progetto CRAFT (CRemona Agri-Food Technologies) e di Ircaf (Centro di riferimento Agro-Alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi) – sono i soggetti più spaventati a livello psicologico dal rischio di contrarre il virus. Queste stesse persone hanno anche consumato latte senza lattosio o bevande vegetali alternative in maggior misura rispetto alla media. Un chiaro segno che l’impatto psicologico del Covid-19 incide sulle scelte alimentari. Dinamiche analoghe si sono poi riscontrate tra coloro che, nel confronto con la media nazionale, percepiscono una situazione di maggior sfiducia rispetto al proprio futuro economico. “Il pessimismo verso il contesto economico proprio e del Paese, indipendentemente dall’oggettiva condizione di povertà del consumatore – commenta la professoressa Graffigna -, porta in alcune fasce della popolazione una maggiore attenzione al prezzo e la tendenza al risparmio sia nell’alimentare sia in altre sfere di consumo”. E questo spiega la preferenza verso il prodotto a lunga conservazione, mediamente meno costoso del corrispettivo fresco.

Le dinamiche delle altre categorie

Guardando poi alle altre referenze della categoria, l’indagine dell’EngageMinds HUB rivela che il latte fresco è stato preferito dal 35% dei consumatori mostrando, seppure in scala minore, una curva dei consumi non molto differente da quella rilevata per il latte a lunga conservazione. Dalla ricerca emerge infatti che questa categoria a maggio 2020 è stata scelta dal 36% degli italiani, valore sceso al 32% a settembre e risalito a dicembre a quota 35%.

Tra le referenze più di nicchia, poi, risulta sostanzialmente stabile la curva di consumo del latte senza lattosio, a maggio acquistato frequentemente dal 26% dei consumatori, quota contrattisi a dicembre al 24%. Tendenza contraria emerge invece per il consumo delle bevande alternative al latte (a base di soia, mandorla, riso, ecc.): a maggio, infatti, questi prodotti riscuotevano la preferenza dal 26% dei consumatori, a dicembre la percentuale era scesa al 22%.

Per entrambe queste ultime due categorie va detto però che la predisposizione al consumo sale di alcuni punti percentuali nel caso del campione rilevato secondo l’indicatore “Food engagement“.

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