L’acqua è una risorsa irrinunciabile per la nostra sopravvivenza: è indispensabile alla vita come pure all’economia. Senza acqua andrebbe in fumo il 17,5% del Pil italiano. Ma il Bel Paese sembra curarsi poco dell’oro blu. L’Italia è infatti un Paese a rischio idrico. Secondo quanto riporta The European House – Ambrosetti nel Libro Bianco 2021, frutto dell’Osservatorio Community Valore Acqua per l’Italia, oggi il Bel Paese si colloca al 18° posto in Europa nell’indice “Valore Acqua verso lo Sviluppo Sostenibile”, un indicatore utilizzato per capire come la gestione efficiente della risorsa idrica impatti sui 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda Onu 2030.



Un risultato non certo brillante, frutto però – dice sempre il Libro Bianco di The European House/Ambrosetti – di uno scenario contraddistinto da luci a ombre. Tra il 2013 e il 2019 il fatturato generato dal ciclo idrico esteso è cresciuto del +4,4% in media all’anno, raggiungendo un valore di 21,4 miliardi di euro. Positivi sono poi anche i riscontri sul piano occupazionale, dove sempre nel periodo 2013-2019 si è messo a segno un incremento del +1,7%, il doppio rispetto a quello ottenuto dalla media delle imprese italiane e superiore alla media del settore manifatturiero, fermo nel periodo in esame a quota +0,1%. Tradotto in altri termini, questo significa che, se si considerasse come un unico settore, il ciclo idrico esteso si posizionerebbe come 2° comparto industriale per crescita occupazionale nel periodo 2013-2019, su 50 settori censiti.



Per contro, il mondo dell’acqua soffre di un limitato tasso di investimento. Con 40 euro per abitante all’anno, quota ben distanziata quindi da una media europea che raggiunge i 100 euro, l’Italia scivola agli ultimi posti nella classifica europea per investimenti nel settore idrico, davanti solo a Romania e Malta. Le infrastrutture idriche sono inoltre obsolete e inefficienti: circa il 60% della rete nazionale ha più̀ di 30 anni e il 25% ha più di 50 anni. E non è tutto. Il 47,6% dell’acqua prelevata per uso potabile viene dispersa, il 42% solo nelle reti di distribuzione – ben 10 punti percentuali in più di 10 anni fa. Un risultato molto lontano rispetto al parametro della media europea che si ferma al 23%.



L’Italia – conclude il Libro Bianco di The European House/Ambrosetti – è insomma un Paese fortemente idrovoro con l’aggravante di essere caratterizzato da uno spreco quasi sempre incontrollato. Con 153 m3 annui pro capite, ovvero il doppio rispetto alla media europea, è infatti il 2° Paese dell’Unione per prelievi di acqua a uso potabile. Inoltre, con 200 litri pro capite consumati all’anno contro una media europea di 118 litri, è il 1° Paese al mondo per consumi di acqua minerale in bottiglia, nonostante la qualità dell’acqua che esce dai nostri rubinetti sia la migliore d’Europa. E a questo non certo edificante quadro, va aggiunto anche il fatto che l’Italia si presenta molto vulnerabile sotto il profilo ambientale: il 21% del territorio nazionale è infatti attualmente a rischio di desertificazione, con eventi siccitosi sempre più frequenti che stanno colpendo le principali fonti idriche del Paese. E ancora, il Libro Bianco sottolinea come il nostro sia un Paese a elevata vulnerabilità climatica: mostra insomma scarsa capacità di adattamento a eventi legati al cambiamento in atto.

Le soluzioni da adottare

La buona notizia è però che le opportunità di rilancio esistono: sono indicate dal Libro Bianco lungo quattro direttrici che dettano una vera e propria Agenda per l’Italia. La prima rimanda ai fondi stanziati nell’ambito del Next Generation Eu, che destinano al comparto un investimento di circa 20 miliardi di euro all’interno del Recovery Fund. La seconda linea d’azione riguarda invece l’aggiornamento delle tariffe necessario per finanziare in modo trasparente gli investimenti sulla rete infrastrutturale. Un aumento di 10 centesimi della tariffa – che oggi è pari a 2,08 euro/M³ – abiliterebbe infatti 350 milioni di euro di investimenti nel ciclo idrico e darebbe lavoro a circa 3.400 occupati, pesando per poco più di 8 euro addizionali l’anno per famiglia. Un circolo virtuoso che tuttavia al momento ancora latita. 

“Vero è – sostiene Confagricoltura – che l’agricoltura ha ridotto, negli ultimi decenni, di quasi il 30% il consumo idrico, impegnandosi ad adottare modelli sostenibili di gestione, come l’irrigazione di precisione. Ma non basta. Occorre mettere mano con urgenza all’intera rete idrica nazionale, che dopo trent’anni di abbandono è in pessime condizioni. Si pensi che nel nostro Paese solo l’11% dell’acqua piovana viene trattenuta. È pertanto necessario costruire nuovi invasi, rinnovare i sistemi irrigui, sanare la rete dell’acqua potabile che perde il 42% tra quella immessa e quella erogata. Va ripristinata e rinnovata – è l’appello di Confagricoltura – una rete infrastrutturale vecchia, con un tasso di dispersione elevato, senza dimenticare l’importanza di migliorare l’utilizzo delle acque reflue, che è una delle sfide più importanti dell’economia circolare. E questo anche per rispondere alla minaccia che abbiamo dinnanzi, perché nei prossimi anni – prevede ancora Confagricoltura – l’aumento delle temperature aggraverà ulteriormente la carenza idrica dell’Italia”.

Va poi considerata – suggerisce il Libro Bianco di The European House/Ambrosetti – la transizione all’Economia Circolare, che punta su riciclo e riuso delle acque, sulla captazione delle acque piovane e sullo sfruttamento virtuoso dei fanghi di depurazione. 

Infine, si deve valutare il ricorso alla leva delle campagne informative e questo perché – sostiene sempre il Libro Bianco di The European House/Ambrosetti – la transizione verso un sistema delle acque italiane più smart e sostenibile passa inevitabilmente attraverso l’educazione dei cittadini. Su questo punto però c’è ancora molto da fare. Un terzo delle famiglie italiane continua infatti a non fidarsi nel bere l’acqua dal rubinetto, con picchi del 60% nelle Regioni del Sud e in particolare in Sardegna. Ma non solo. La gran parte delle famiglie italiane sottostima il reale utilizzo medio della risorsa idrica, imputandosi meno della metà dell’utilizzo di acqua giornaliero realmente effettuato. Tradotto in numeri, questo significa che nucleo di 4 componenti è portato a stimare un uso di 177 litri di acqua al giorno quando l’effettivo consumo supera invece i 500 litri.

Il risparmio nasce (anche) a tavola

Alla lista delle soluzioni praticabili per tutelare la risorsa idrica si deve però aggiungere anche l’alimentazione. Mangiando in modo sostenibile – spiega la Barilla Center for Food and Nutrition Foundation -, l’impronta idrica dei Paesi dell’Ue potrebbe essere ridotta del 23% Se si seguisse una dieta sostenibile – aggiunge la Fondazione -, in un solo giorno si potrebbero risparmiare fino a 4.000 litri di acqua, equivalenti a un pieno carico di 80 lavatrici o a 33 docce da 10 minuti ciascuna. E ancora meglio si potrebbe fare se si adottasse una dieta che limiti la frequenza di alimenti di origine animale, preferendo prodotti vegetali. I numeri del resto parlano chiaro: in media l’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne bovina è quattro volte di più di quella richiesta per il pollame, più di sei volte maggiore di quella che occorre per il pesce, nove volte più elevata di quella utilizzata per i cereali e quarantacinque volte superiore a quella necessaria per le verdure.

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