Agli incontri dei mesi scorsi, di cui ha parlato Nbc news, avrebbe partecipato il ministro degli Esteri russo Lavrov (che smentisce), insieme a ex funzionari della Casa Bianca e diplomatici americani in pensione che fanno capo al centro studi Council of foreign relations. L’argomento sarebbero state le condizioni per far partire negoziati finalizzati a risolvere la guerra in Ucraina. Troppo poco per alimentare qualche speranza, ma di certo un segno che, al di là del granitico appoggio ufficiale di Biden a Kiev, anche negli Usa si tiene in considerazione la via diplomatica.



Se si dovesse finalmente negoziare, però, spiega Fabio Mini, già capo di Stato maggiore del comando Nato per il Sud Europa e comandante delle operazioni di pace Nato in Kosovo, bisognerebbe parlare di sicurezza europea, relativa a tutto il continente, altrimenti dopo l’Ucraina potrebbero aprirsi fronti in Bielorussia o in altre aree. L’importante è che ci sia veramente la volontà di parlarsi.



Generale, la strada dei negoziati resta aperta?

Avevo saputo che ci fossero contatti tra militari russi e americani per lo scambio di prigionieri, non di contatti a questo livello. Ma si può dare credito a questi incontri: le associazioni, gli istituti di cui fanno parte ex funzionari americani sono influenti. Dando per vera la notizia sarebbe un piccolo tassello di qualche cosa che si sta muovendo. Gli ex funzionari appartengono al “deep State”, contano anche se non si vedono, sono strumenti di pressione, di indirizzo per i Governi. Servono sempre e sono ascoltati. Se si sono mossi vuol dire che anche loro si sono stufati di questa guerra.



Ci sono comunque segnali che qualcosa si sta muovendo anche sul fronte americano e non solo dal punto di vista delle forniture militari?

Sul fronte Usa c’erano state già voci forti da parte di studiosi che hanno cominciato a dire che bisognava trattare: il politologo John Mearsheimer è uno di questi, ma ce ne sono stati tanti altri. Persone che appartengono a mondi diversi ma che hanno tutti questa posizione.

Il capo dell’intelligence militare ucraina Kyryklo Budanov ha detto che la Nato, nel prossimo vertice di Vilnius, non darà vere risposte a Kiev. L’aspettativa dell’Ucraina di entrare nella Nato non sarà soddisfatta?

Fino a quando c’è questo tipo di guerra non si parlerà di far entrare l’Ucraina nella Nato. Sarebbe una violazione di tutto l’impianto dell’Alleanza atlantica: farli entrare in questo momento significa solo prendere parte attiva alla guerra, cosa che fino ad ora ufficialmente la Nato ha evitato. Poi si può partecipare in mille modi, siamo sul filo dell’ambiguità.

Non può essere letto anche questo come un segnale che potrebbe essere intrapresa la strada diplomatica?

La strada diplomatica è l’unica che potrebbe risolvere temporaneamente questa situazione ed è quello che tutti auspicano, che si interrompano i combattimenti e che si cominci a parlare. Se si ha veramente voglia di mettersi a discutere, che ci siano o no i combattimenti è irrilevante. Quando c’era la guerra in Vietnam si combatteva e i colloqui di Parigi sono andati avanti per anni.

Quali sono gli elementi minimi per trovare un accordo?

Se non si parla di sicurezza europea in tutto il continente è inutile ragionare sull’Ucraina. Oggi c’è l’Ucraina, domani c’è la Bielorussia, poi qualcosa d’altro e non si finisce mai. Quello a cui bisogna tendere in via assoluta è discutere di sicurezza in Europa, anche perché l’Ucraina sembra che non voglia discutere per niente.

Dovrebbe essere un’occasione per chiarire i rapporti tra la Russia, quelli che sono rimasti i suoi satelliti e la Nato?

Soprattutto con gli Stati Uniti. Se non si muove Washington è inutile stare a ragionare: tutti i Governi che adesso sono per la guerra, dalla Gran Bretagna all’Italia, nel momento in cui gli Usa dicessero “Un attimo, vediamo cosa di può fare” sarebbero lì tutti ai loro piedi per dire di fare la pace.

C’è da sperare allora che i contatti informali tra russi e americani portino a qualcosa di concreto?

Ho molta più fiducia in questi segnali, veri o fasulli che siano (perché anche quelli fasulli in questo caso fanno buon gioco) di quanto non dicano i governanti europei, che non fanno altro che portare la distruzione al massimo così poi la ricostruzione sarà un business.

Gli americani intanto stanno pensando di inviare munizioni a grappolo agli ucraini. Cambierebbe qualcosa nel conflitto?

Fa parte del gioco alzare un po’ la posta per vedere cosa succede. Gli americani dicono che mandano, poi quando lo fanno mandano poco e quando non lo fanno non lo dicono. Le bombe a grappolo nelle mani degli ucraini non possono fare la differenza. Per i russi sarebbe un invito a nozze, hanno un arsenale infinito di bombe a grappolo. Sono schermaglie verbali per vedere fino a che punto ci si può spingere. Quello che non vedo, comunque, è la determinazione della Russia ad elevare il livello dello scontro. Ci deve essere un conflitto all’interno del Paese su questo tema, ad esempio sulla necessità di utilizzare le armi nucleari tattiche o di escluderle a priori.

Intanto il rublo è crollato sui mercati internazionali: questo elemento potrebbe incidere sulle decisioni future dei russi?

Andranno avanti fino a quando qualcuno non si stanca. Che il rublo sia in discesa sui mercati internazionali conta poco. Gli scambi i russi li fanno con il rublo a livello fisso.

La leva economica, come dimostrano le sanzioni, conta fino a un certo punto?

Cinesi e russi hanno già risolto la questione: tutti gli scambi che hanno con i Paesi che li sostengono li fanno nelle monete locali.

Si continua a parlare anche di eventuali incidenti alla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Solo parole o il rischio è reale?

Quando qualcuno comincia a dire che l’avversario sta provando a sabotare, secondo me vuol dire che sta provando a tastare il terreno per abituare soprattutto gli alleati all’idea che la centrale possa saltare. È un pericolo reale perché è troppo che se ne parla. Gli ucraini dicono che i russi la vogliono far saltare tutto, ma non so quanto Mosca abbia interesse a far saltare una centrale che controlla. Fa parte della guerra psicologica anche questo. Il problema è che, quando si parla di cose che possono succedere, poi stranamente succedono. Chissà perché. Saranno coincidenze.

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