Dopo il Dpcm siglato sulla fase 2, lo scontro tra Cei e Governo è stato fortissimo: le chiese di nuovo chiuse per le messe (aperte solo per funerali, ma con al massimo 15 persone e se possibile all’aperto) hanno scatenato la durissima reazione dei vescovi italiani che ha segnato una autentica frattura tra la Conferenza Episcopale italiana e il Premier Conte, la prima vera dalle polemiche nel suo primo Governo sul tema migranti (ma lì ad essere contestato era Salvini più che il Premier). In serata ieri da Milano il Presidente del Consiglio ha cercato di “ricucire” lo strappo di fatto “scaricando” le colpe della scelta di tenere ancora chiuse le chiese sul Comitato Tecnico Scientifico in appoggio a Palazzo Chigi.
Riavvolgendo il nastro dello scontro, l’accusa iniziale della Cei è di aver disatteso le promesse fatte dopo aver lavorato per giorni sui protocolli di sicurezza anti-coronavirus da applicare per riaprire almeno le Sante Messe della domenica: «I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale», si legge nel duro comunicato uscito dopo la conferenza stampa di Conte domenica sera.
CONTE “RIGIDITÀ DEL COMITATO TECNICO SCIENTIFICO”
Ieri lo scontro durato tutto il giorno con parte della maggioranza impegnata contro il proprio stesso Premier Conte (Pd e Italia Viva hanno presentato emendamenti e chiesto di cambiare quella parte nel Dpcm), fino alle parole del Presidente del Consiglio in visita a Milano ieri sera: «Lavoreremo per definire un protocollo di massima sicurezza per garantire a tutti i fedeli di partecipare alle celebrazioni liturgiche, contiamo di definire questo protocollo in pieno spirito di collaborazione con la Cei». Entrando però nello specifico della polemica, Conte risponde direttamente ai vescovi italiani e ammette «Dispiace molto perché questo governo rispetta tutti i principi costituzionali. Dispiace di creare un comprensibile rammarico della Cei. Ci siamo anche sentiti con il presidente Bassetti, non c’è un atteggiamento materialista da parte del governo, nessuna mancanza di sensibilità. C’è sì, una certa rigidità del Cts anche sulla base della letteratura scientifica che loro hanno a disposizione sui contagi».
SCONTRO CTS-CEI, MA SPUNTA IPOTESI DI ACCORDO
Come poi riporta l’Ansa, il parere del CTS è effettivamente molto rigido e vede spiegarsi in questi termini «la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose comporta, allo stato attuale alcune criticità ineliminabili che includono lo spostamento di un numero rilevante di persone e i contatti ravvicinati durante l’Eucarestia», fissando al 25 maggio e non prima la possibilità di riformulare l’esito del parere. Rimane dunque che fino a fine maggio gli italiani non potranno recarsi a Messa, a meno che non si proceda con l’ipotesi avanzata stamattina da “Repubblica” avendo avuto alcune fonti di Governo: si potrebbe tornare in chiesa il 10 maggio prossimo ma con obbligo mascherina e distanziamento fisico tra i fedeli. La Cei dopo l’attacco è disponibile a trovare un accordo ma a quel punto resta il problema: difficilmente il CTS varierà la sua posizione per soli 6 giorni di distanza tra il 4 maggio e il potenziale ritorno alle celebrazioni religiose. Servirà una decisione politica che Conte a quel punto dovrà prendersi, esponendosi in prima persona.