Lo scrivevamo già il 13 agosto scorso, quando nel Decreto Rilancio spuntava nelle tante norme ‘anti-Covid’ una piccola e quasi introvabile norma che di fatto depenalizzava il reato per il quale Salvatore Cesare Paladino (padre di Olivia, compagna del Premier Conte) era stato condannato dopo patteggiamento. Il gestore del Grand Hotel Plaza, Cesare Paladino, era stato condannato ad un anno e due mesi di carcere per peculato, in quanto non aveva versato al Comune di Roma due milioni di euro relativi alla tassa di soggiorno per gli anni dal 2014 al 2018: già ad agosto gli avvocati del “suocero” di Conte avevano chiesto la revoca di quella condanna dato che sostenevano che il Decreto Rilancio depenalizzava quel reato in “mero illecito amministrativo” applicando la norma retroattivamente. Sei mesi dopo, come scrive “Il Tempo” con il direttore Franco Bechis, quella condanna è stata definitivamente tolta al padre di Olivia Paladino.



LA CONDANNA E IL CONDONO

A fare indispettire il direttore del Tempo è la “reazione” della stampa italiana a quanto successo sul “caso Paladino”: «immaginatevi cosa sarebbe accaduto se al posto di Conte ci fosse stato un Matteo Renzi o un Silvio Berlusconi a fare leggi ad personam per i propri familiari! Titoloni, edizioni straordinarie, M5s sulle barricate, manifestazioni davanti a Montecitorio. Ma questa volta la legge ad familiam l’ha firmata un loro idolo, quindi tutti con la testa sotto la sabbia come degli struzzi». Il gup di Roma, Bruno Azzolini nonostante l’opposizione della procura di Roma – riportano le agenzie di stampa – ha accolto il ricorso di Cesare Paladino revocando di fatto la condanna a un anno e due mesi per peculato «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato». Secondo Bechis, un esito scandaloso: «Non esiste un caso solo anche nella lunga sfilza di leggine varate in sostanziale conflitto di interessi dai governi precedenti di una applicazione talmente ad personam da riguardare esclusivamente un congiunto del legislatore, in questo caso presidente del Consiglio». Resta ora da capire se Palazzo Chigi vorrà fornire una comprensibile e adeguata risposta alle accuse mosse sulla stampa.

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