Come affronteremo la seconda ondata? È questo il dilemma che, implicitamente o esplicitamente, segna il dibattito politico in Italia e in Europa. Perché la pandemia non è passata; il Covid-19 resta in agguato e, finito il lockdown, allentate le briglie, colpisce di nuovo. Sono focolai, vengono per lo più dall’estero, ma attenzione erano focolai e venivano dall’estero anche sei mesi fa. È tornata la movida, è tornato il calcio (e c’è il Parma in isolamento), sono tornati i viaggi aerei, gli assembramenti, le feste, i pranzi, invece del distanziamento c’è il riavvicinamento sociale, le mascherine abbondano, ma la gente non le compra più. L’Italia si prepara al peggio con la proroga dello stato di emergenza e chiude alcune frontiere. Il Regno Unito ha stretto le maglie, accettando la sconfitta della scelta lassista di Boris Johnson. L’America, quella del nord e quella del sud, sembra fuori controllo. Potremo reagire con un nuovo confinamento, chiudendo tutto, sbarrando le fabbriche e gli uffici e aprendo le porte a quella depressione alla quale siamo sfuggiti finora?
Al di là dei convenevoli e delle apparenze è questo il sottofondo degli incontri che Giuseppe Conte ha avuto in Europa e di quello decisivo, domani, con Angela Merkel. Lo stesso Recovery fund entrerà in funzione quest’inverno e rischia di diventare un intervento per la nuova emergenza non per la ripresa. Mentre l’Unione europea appare spaccata tra i Paesi che hanno pagato il prezzo più pesante e non riusciranno a recuperare il Pil perduto (l’Italia innanzitutto, ma anche la Spagna, la Grecia, il Portogallo, la Francia) e quelli che si riprenderanno meglio degli altri (la Germania), ma saranno appesantiti se non bloccati dalla zavorra degli altri. Basti pensare all’industria dell’auto tedesca, ai suoi legami indissolubili con l’Italia e la filiera dell’automotive. C’è un destino comune che il coronavirus ha rivelato in modo definitivo, a fronte del quale c’è una politica incapace di gestirlo e, talvolta, persino di riconoscerlo.
Gli incontri a Lisbona e a Madrid hanno confermato la sintonia tra i tre Paesi latini, i più sofferenti; quello in Olanda tra Conte e Mark Rutte ha riproposto le divergenze già note con il Premier olandese che insiste nel pretendere che l’Italia tenga fede alle promesse e metta sul tavolo in modo chiaro e concreto il suo programma per la ripresa, le riforme da fare (Rutte ha chiesto di abolire misure come le pensioni anticipate) e i provvedimenti per rilanciare l’economia. Atteggiamenti che possono anche ferire l’amor proprio nazionale, ma che non sono gratuiti. Anche gli italiani vorrebbero sapere chiaramente quali riforme intende fare il Governo in tempi brevi e quali misure di rilancio prende. L’unica cosa chiara è che il piatto piange e bisogna indebitarsi ancora di più; come far fronte è un problema dell’Italia ancor prima che del resto d’Europa.
Ciò riguarda sia il Recovery Fund che tanto piace al Governo italiano, sia il Mes che non piace a Conte e al M5S (oltre che alla Lega e a Fratelli d’Italia). Anche in questo caso, ci si accapiglia sulla condizionalità, sulla sovranità, sulla trojka vera o presunta, ma non si discute, perché non se ne sa nulla, sul piano sanitario per rimediare ai guai attuali e minimizzare quelli futuri. A di là di qualche vuota formuletta, sappiamo forse in che modo e con quali risorse, non solo finanziarie, ma umane, tecnologiche, scientifiche, strutturali, si intende potenziare gli ospedali e rafforzare (o ricreare) i presidi territoriali? Presidi di che tipo? Pronti soccorso decentrati, punti di accoglienza specializzati? Saremo distratti, ma è sfuggito a noi non solo a Mark Rutte che in Parlamento o nel Governo si stiano affrontando seriamente questi aspetti decisivi se e quando arriverà la seconda ondata.
Si parla molto di alchimie politiche future, di nuove formule, di alleanze trasversali dopo il rientro in pista di Silvio Berlusconi apprezzato anche da Romano Prodi. La politica torna gioco di potere, importante sia chiaro, ma solo se non è vuoto di contenuti e fine a se stesso. Segnali come il rimbalzo della produzione industriale (notevole anche se non sufficiente a recuperare il prodotto perduto) mostrano che il sistema produttivo è provato, ma tutt’altro che distrutto, anzi è pronto a scattare, ci vuole, però, una molla che deve venire anche dalla politica economica la quale resta, invece, rinchiusa in un orizzonte distributivo non produttivo.
L’incontro di domani con Angela Merkel sarà fondamentale per capire con quali prospettive si apre il Consiglio europeo di venerdì e sabato. Il Presidente del consiglio Charles Michel ha riproposto l’impianto iniziale: 500 miliardi di euro a fondo perduto e 250 miliardi come prestiti. La Merkel nei giorni scorsi è sembrata disponibile anche a limare queste cifre per venire incontro a Olanda, Finlandia e ai Paesi cosiddetti frugali. In ogni caso la cancelliera tedesca che in questi sei mesi presiede l’Unione europea potrà mediare e smussare, ma non si farà mettere i piedi in testa dai piccoli recalcitranti. Ne va del progetto strategico che lei e la classe dirigente tedesca hanno maturato durante la pandemia: dare una scossa all’Unione europea e spingerla avanti verso un orizzonte federale. Il ruolo della Bce ai limiti del suo mandato mettendo a tacere le resistenze della Bundesbank e dell’Alta corte tedesca, così come la fine dei tabù che hanno bloccato finora gli eurobond, sono due segnali concreti.
Ci sono, dunque, condizioni politiche favorevoli all’Italia, sta al Governo Conte non farsele sfuggire. La premessa è che faccia chiarezza al suo interno e presenti finalmente un quadro definito, nei modi e nei tempi, della sua politica di rilancio del Paese. Il tira e molla sul decreto semplificazione non è certo un buon esempio. E non bastano i soliti generici impegni sulla riapertura dei cantieri. Di questo piano per la ripresa deve far parte, insistiamo, il programma di rafforzamento e riorganizzazione della sanità. Sembrava l’urgenza delle urgenze quando gli ospedali non sapevano dove curare i malati e adesso, anche nell’opinione pubblica, tutto sembra dimenticato. Ma nulla di quel che è accaduto nei sei mesi scorsi potrà essere cancellato. E l’impegno numero uno è impedire che succeda di nuovo.