LO SFOGO DI CONTE SULLA FINE DEL GOVERNO DRAGHI: “MI HANNO FATTO FUORI”
Giuseppe Conte ne è convinto: la fine del Governo Draghi in realtà è stata preceduta dal tentativo di “farlo fuori”. Colpevoli? Il Premier e il suo Ministro degli Esteri. Era il 29 giugno scorso quando l’ideologo e politologo vicino al M5s, Domenico De Masi, denunciò al “Fatto Quotidiano” i presunti messaggi inviati (di continuo) dal Premier Mario Draghi al Garante 5Stelle Beppe Grillo, in cui chiederebbe di “fare fuori Giuseppe Conte” dalla leadership del Movimento perché ritenuto “inadeguato” nel tenere i rapporti tra partito e Governo. Quel giorno, assieme allo strappo di Luigi Di Maio con la formazione del nuovo partito di transfughi ex M5s, rappresenta l’inizio della fine per il Governo Draghi, caduto di lì a poche settimane.
Oggi a “La Stampa” è lo stesso Presidente Conte, soddisfatto per l’esito delle Parlamentarie avvenute il 16 agosto, a dare la sua versione dei fatti nelle settimane immediatamente precedenti all’uscita dal Governo del suo partito, non votante la fiducia sul Dl Aiuti per ben due volte. «Congiura verso di me? La chiami lei congiura, il complottismo non mi appartiene, però non è tutto normale»: Conte si riferisce alla telefonata-chat presunta tra Grillo e Draghi (sempre smentita da Palazzo Chigi, ndr) dove crede in pieno alla versione datagli dal fondatore del Movimento 5Stelle. In generale, la caduta del Governo Draghi va imputata in primis al Premier stesso, poi al Ministro Di Maio e infine anche al Segretario Pd Enrico Letta. Secondo Conte, «Draghi e Letta sono stati zitti mentre Di Maio metteva a repentaglio l’equilibrio della maggioranza».
CONTE E IL FUTURO DEL M5S: “CON IL PD…”
Davanti al voto del 25 settembre dove il M5s, in corsa solitaria, non si appresta a compiere il medesimo risultato delle Elezioni 2018, l’ex Premier Conte si lancia nella previsione sull’indomani politico di queste urne: «Draghi bis se non vince nessuno? Non ci sono prospettive su questo perché il diretto interessato non è disponibile e l’ha dimostrato anche in questa fase di crisi: ha preso la palla al balzo e ha voluto imprimere un segno di irrevocabilità alle sue dimissioni». È uno scontro a muso duro con il Presidente del Consiglio uscente per chi lo ha preceduto a Palazzo Chigi: ancora a “La Stampa”, Conte insiste «Sul metodo facciamo attenzione, uno dei problemi è stata proprio la scarsa dialettica politica. Se il metodo Draghi è quello del decisionismo autoreferenziale, che si può giustificare solo in un contesto di emergenza, io ribadisco: attenzione che siamo in una democrazia parlamentare».
Davanti all’ipotesi di un possibile “voto utile” per non far vincere il Centrodestra, Conte non tende alcuna “mano” verso il Partito Democratico dopo il fallimento del “campo largo” immaginato da Letta prima della crisi di Governo: «Nel Pd hanno le idee assolutamente confuse. Letta aveva stretto un accordo con Calenda e l’obiettivo era rivedere il reddito di cittadinanza e il Superbonus. Oggi invece il Pd dice di essere una forza sociale ed ecologica, tutto il contrario di tutto». La domanda però sorge spontanea, in merito a cosa potrebbe succedere dopo le Elezioni qualora vi siano scenari imprendibili e non certi: un ritorno di “fiamma” tra Pd e M5s, è realmente pensabile? Secondo il Presidente Conte «Non c’è rancore, ma Letta deve spiegare al suo elettorato le alleanze che ha fatto, addirittura con Fratoianni e Bonelli, dopodiché si vedrà. È stato deludente e incomprensibile il comportamento del Pd, certamente i cittadini non credono alla favoletta di Letta “non andiamo con il Movimento perché ha fatto cadere il governo Draghi”. Come mai il Partito democratico parla di noi quando sapeva che non potevamo accettare una norma sull’inceneritore a Roma?». Stoccata finale all’ex alleato e suo ex vice Premier, Luigi Di Maio: «il ministro degli Esteri, durante il conflitto in Ucraina, ha creato uno smottamento nell’equilibrio precario della maggioranza e ha formato una nuova formazione, accusando il Movimento 5 stelle di essere una minaccia per la sicurezza nazionale. Né il presidente del Consiglio, che è venuto in Parlamento e non ha voluto dialogare, né il Pd hanno detto nulla».