Il metodo è testare, tracciare e trattare”. Non aveva dubbi il premier Giuseppe Conte a maggio riguardo la strategia per affrontare l’emergenza coronavirus. Questa la strada tracciata per la Fase 2, ma è stata davvero intrapresa dal nostro Paese? Facciamo un passo indietro. La strategia delle tre “T”, giustamente caldeggiata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si declina così: testare più persone con tamponi e test sierologici, tracciare con app o indagini dei casi positivi e trattare i malati di Covid con l’assistenza ospedaliera o quella domiciliare coordinata. Ed è attorno a questi tre punti che si annida la nuova impennata di casi in Italia. Probabilmente ci sarebbe stata lo stesso, ma forse non con questa entità. Ma partiamo dalla “prima T”, quella relativa ai test. Oggi è stata superata quota 150mila tamponi col nuovo bollettino del Ministero della Salute. Prendiamo il caso della Germania, che è arrivata a fare tra 1,1 e 1,2 milioni di tamponi e test sierologici alla settimana. Parliamo di una media di 170mila tamponi e test al giorno. Ci siamo vicini? Nient’affatto, perché nel weekend in Italia c’è un crollo negli esami che ci porta anche a soli 50mila test. La Francia viaggia invece sugli oltre 200mila tamponi al giorno.



TRE T, CIOÈ DOVE HA SBAGLIATO IL GOVERNO

Passiamo alla “seconda T”, quella relativa al tracciamento, il contact tracing. Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, è stato chiaro oggi: “Il tracciamento dei contagi non sta funzionando, si va verso la perdita del controllo”. Anche Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, ha alzato bandiera bianca: “Non siamo più in grado di tracciare i contatti”, ha ammesso. Lui sta pensando ai tamponi in auto e a nuove misure per scongiurare il rischio di dover emulare Vincenzo De Luca, che ha chiuso in primis le scuole nella Regione Campania. Un capitolo a parte meriterebbe il fallimento dell’app Immuni, scaricata da pochissime persone e peraltro non funzionante in Veneto, come emerso negli ultimi giorni. E arriviamo alla “terza T”, quella relativa al trattamento. Il Governo ha pianificato l’ampliamento delle terapie intensive per attutire un eventuale secondo “colpo” del coronavirus. I lavori sono cominciati in ritardo e diverse regioni si trovano già in affanno. Ora il commissario all’emergenza Domenico Arcuri scarica le responsabilità alle Regioni, ma siamo al 16 ottobre ed è strano che se ne sia accorto solo ora che siamo arrivati alla soglia dei 10mila casi giornalieri.



DPCM CONTE E CONTRADDIZIONI

Non possiamo parlare di fallimento perché, come afferma il professor Franco Locatelli, siamo ancora in grado di cambiare marcia e invertire la rotta. In questi giorni però la narrazione governativa è cambiata: Arcuri se la prende con le Regioni, il Governo si rivolge agli italiani e al loro senso di responsabilità, come se il popolo italiano fosse davvero in grado di cambiare le sorti dell’epidemia o addirittura responsabile di questa crescita di casi. Possiamo rinunciare alle feste private, restare anche in meno di sei a casa, ma se quando ci spostiamo per andare a lavoro o a scuola troviamo i mezzi strapieni perché il Governo non è in grado di aumentare le corse, cosa abbiamo ottenuto e in che modo abbiamo frenato epidemia? Ed ecco che si ritorna a parlare di smart working e didattica a distanza, di cui si potrebbe fare a meno con se la classe politica avesse il coraggio di cambiare passo ed essere più concreta. Un Governo che non governa non serve a nulla, ma durante una pandemia è pure pericoloso.

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