RUSSIAGATE, NUOVE PROVE DI “REP” CONTRO GIUSEPPE CONTE

Il prossimo giugno il Presidente del Copasir Adolfo Urso volerà a Washington per indagare ulteriormente su cosa avvenne nel 2019 sull’asse Italia-Usa in merito al fantomatico “Russiagate”, protagonisti Donald Trump, Giuseppe Conte, William Barr e Gennaro Vecchione. Intanto oggi “La Repubblica” scodella nuove prove che seguono lo “scoop” della scorsa settimana, dove si dimostrerebbe che il leader M5s fu in prima persona a forzare le regole per la visita del Ministro della Giustizia americana nell’agosto e settembre 2019.



«La decisione di forzare le regole sul caso Barr era stata presa da Giuseppe Conte, nonostante le resistenze del ministero degli Esteri e dei capi delle due agenzie Aise e Aisi. E’ la conclusione a cui porta la ricostruzione dei fatti di Repubblica, che dovrebbe spingere il Copasir a riaprire l’indagine», scrive oggi su “Rep” l’inviato dagli Usa Paolo Mastrolilli. L’iter inizialmente seguito dagli Stati Uniti e dagli organi di intelligence italiana erano stati corretti e normalissimi in occasioni del genere: l’Attorney General americano (Barr) aveva contattato l’ambasciatore Armando Varricchio, per spiegare cosa fosse avvenuto con il “Russiagate” (l’eventualità che l’Italia abbia concordato con il Partito Democratico di Obama per far perdere le Elezioni Presidenziali a Donald Trump), chiedendo poi un incontro con i servizi, insieme al procuratore John Durham. Varricchio a sua volta – secondo le fonti di “La Repubblica” – aveva informato il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, ma la Farnesina aveva frenato, perché riteneva che la richiesta dovesse passare dal ministero della Giustizia (ovvero Alfonso Bonafede all’epoca, ndr). A quel punto l’ambasciatore aveva avvisato direttamente Palazzo Chigi e qui sarebbe avvenuto l’ipotetico “turning point” di tutta la vicenda, già negato più volte da Giuseppe Conte.



REPUBBLICA: “COSÌ CONTE FORZÒ LE REGOLE SU BARR”

«Conte aveva deciso di occuparsi del caso, affidandolo al direttore del Dis Gennaro Vecchione, che lui aveva nominato. Così si era arrivati alla visita di Barr a Roma il 15 agosto, seguita dalla cena al ristorante Casa Coppelle», scrive ancora “La Repubblica” contestando le audizioni dell’ex Premier al Copasir e la replica piccata di questi giorni dello stesso leader 5Stelle.

Non solo, il 27 settembre al ritorno di Barr in Italia per indagare direttamente su quanto raccolto a Ferragosto, Vecchione avrebbe chiesto ai direttori di Aise e Aisi – Luciano Carta e Mario Parente – di partecipare: qui però vi sarebbe stata la ferma opposizione dei dirigenti 007, ma il capo del Dis insistette con ordine scritto che li obbligava a venire. «Carta e Parente avevano obbedito, ma si erano limitati a dire che non avevano nulla da aggiungere. Quindi era stato spiegato a John Durham (procuratore speciale Usa per il Russiagate, ndr) che se voleva interrogare Joseph Mifsud, professore maltese della Link Campus University sospettato di essere all’origine del “Russiagate”, doveva seguire il canale giudiziario», scrive ancora “La Repubblica”. Se l’intero faldone di nuove prove fosse confermato, sarebbero diversi i punti da chiarire con Giuseppe Conte: «L’ex premier dice di non aver mai incontrato Barr, ma per confermarlo bisognerebbe quanto meno appurare l’agenda dell’Attorney General […] Davvero aveva passato circa 36 ore nella capitale solo per vedere Vecchione?». Secondo Mastrolilli le varie smentite di Conte – da ultima quella al Tg3 lo scorso 20 aprile, quando spiegò «Ho letto la dichiarazione di Vecchione, quella con l’ex segretario di Giustizia americano William Barr è stata una cena conviviale, con delegazioni, in un noto ristorante, hanno parlato di informazioni né confidenziali né riservate, non mi sembra ci sia molto da speculare» – non convincono appieno: «perché Conte si è prestato a questo uso personale delle agenzie» per una missione politica voluta da Trump, si chiede ancora “Rep”. Alle critiche feroci di Renzi contro di lui, Conte ha replicato che il Ministro Barr non indagava su agenti italiani ma americani: bene, conclude il quotidiano diretto da Molinari, fosse davvero così «Il premier infatti avrebbe autorizzato il segretario ad incontrare i servizi italiani per ricevere informazioni compromettenti sui colleghi dell’Fbi, tipo il capo a Roma Michael Gaeta, con cui poi i nostri agenti dovevano lavorare ogni giorno per garantire davvero la sicurezza del Paese, mettendola così a rischio».