A Palazzo Chigi Giuseppe Conte-2 (formalmente un indipendente di area M5s). Agli Interni, il prefetto di Milano, Luciana Lamorgese, un tecnico fino a oggi dipendente del Viminale retto da Matteo Salvini. Agli Esteri il leader M5s, Luigi Di Maio, ex vicepremier nel Conte-1 a fianco di Salvini. Non ultimo, il neo-ministro della Difesa Lorenzo Guerini, Pd, un colonnello di Matteo Renzi. Sono quattro i nuovi “capitani di porto” che a Lampedusa e dintorni saranno chiamati a decidere quando all’orizzonte si ripresenterà una nave di una Ong carica di migranti soccorsi nel Canale di Sicilia. Non mancano tuttavia almeno due altri convitati di pietra istituzionali: la magistratura e il Quirinale (anche in quanto presidio del Csm). 



La situazione di partenza per il Conte-2 è quella di arrivo del Conte-1. Quando una nave Ong, finora, ha puntato su Lampedusa o altro porto italiano, quasi sempre si è rifiutata di dirottare su un altro porto, che d’altronde non è mai stato aperto preventivamente da altri Paesi Ue. Il Viminale ha quindi ordinato ripetuti alt al confine marittimo. Dopo un copione standard (stallo di alcuni giorni con frequente imbarco di parlamentari Pd sulle navi), gli esiti sono stati essenzialmente due: o uno sbarco alla spicciolata per ragioni sanitarie oppure azioni aggressive in violazione delle acque territoriali e degli ordini del governo italiano (come l’ormai celebre speronamento della capitana Carola Rackete a una motovedetta militare nel porto lampedusano). In entrambi i casi la Procura di Agrigento ha regolarmente autorizzato lo sbarco, sequestrando la nave, indagando comandante e vertici dell’Ong ma aprendo fascicoli anche contro il ministro.



La “capitana Carola”, d’altronde, dopo un simbolico arresto domiciliare è stata rimpatriata in Germania senza conseguenze, mentre Salvini ha dovuto fronteggiare una richiesta di autorizzazione a procedere. Nel frattempo la Difesa – retta dalla pentastellata Elisabetta Trenta, ufficiale della riserva – non ha mai mancato di far filtrare in tutti i modi la contrarietà delle forze armate alla gestione degli Interni dei flussi migratori, forze armate impegnate per anni nell’operazione Sofia voluta dagli Accordi di Dublino del 2013. Non ultimo, il presidente della Repubblica Mattarella ha controfirmato anche il secondo “decreto sicurezza” di Salvini, senza però non rinunciare a esprimere perplessità formali e sostanziali sulle restrizioni e sanzioni previste.



È probabile – e auspicabile – che l’Operazione “Porti Riaperti” riparta dalle linee-guida normative. Graziano Delrio, uno dei leader Pd, ha preannunciato ieri una nuova “legge sull’immigrazione” che evidentemente vada a superare i decreti Salvini. Il passo, evidentemente, impegnerà la responsabilità politica del Pd: che ha posto finora la questione migranti quasi come unico punto fermo per aderire al “ribaltone” di agosto. Ma sarà interessante osservare le posizioni che verranno assunte sia dal premier Conte (che ha posto la prima firma  ai “decreti sicurezza”) sia da Di Maio.

Il leader M5s è al nuovo “tavolo migranti” in triplice veste: come ex vicepremier co-firmatario dei decreti in vigore, coma capo di una forza politica punita alle urne dalla Lega pur non avendo mai avuto nel suo Dna l’accoglienza dei migranti al Sud; e soprattutto come nuovo ministro degli Esteri. La riforma degli Accordi di Dublino e delle politiche di gestione dei flussi migratori è una delle priorità della nuova governance Ue e – in particolare – le prospettive di flessibilità finanziaria straordinaria per l’Italia del Conte-2 sembrano strettamente collegate alla disponibilità di Roma a riprendere la strategia “Sofia”, con i porti italiani come primo sbarco e la Marina militare di nuovo in mare. Come si muoveranno Di Maio e Franceschini sotto lo sguardo ravvicinato del Quirinale? Il centrosinistra è fermo al “piano Minniti” di due anni fa: quando il ministro calabrese del Pd riuscì a ridimensionare il business del trasporto e dell’accoglienza dei migranti anche con iniziative delicate, come quelle condotte nella Libia in guerra civile. 

È intanto comprensibile, in questo quadro complesso, che a succedere a Salvini al Viminale sia stata chiamata una tecnica: una civil servant abituata a eseguire direttive politiche, non a elaborarle. Come ha notato ieri Guido Gentili in un’intervista al Sussidiario, la presenza di non eletti alla guida di ministeri-chiave del Conte-2 (a cominciare dalla stessa Presidenza) si presenta da subito come un profilo critico. E ciò è subito evidente nella formale catena di comando sui porti, formata da Conte e Lamorgese.

Che poi il Pd di governo stia a prudente distanza di braccio da un dossier brandito a parole come manifesto del ritorno della democrazia in Italia, è un’altra questione. È comunque un fatto che – “capodelegazione” a parte – nessun leader Pd sia voluto entrare nel governo “giallo-Rousseau”: che pure il Presidente (dem) Mattarella lascia insediare dopo aver ricevuto garanzie che si tratti di un “esecutivo politico di legislatura”.