«Voglio entrare in Parlamento con un programma di governo nato dal basso e frutto del dialogo con i territori, dopo una campagna elettorale ampia e diffusa»: lo ha detto ieri Giuseppe Conte nella sua lunga intervista a “L’aria che tira” su La7, ospite di Myrta Merlino. Sono parole se si vuole “normali” e senza grandi sconvolgimenti provocati, eppure rappresentano un punto di novità dopo che fino a sole 72 ore fa sembrava fatta la candidatura, sostenuta e offerta dal Pd, di Conte alle prossime Elezioni Suppletive nel collegio Roma-1 lasciato libero dal neo sindaco Roberto Gualtieri.



Tentato dal sì dopo l’accordo sancito con Bettini, Zingaretti e Letta, il Presidente del Movimento 5 Stelle ha fatto dietrofront rapidamente annunciando in conferenza stampa il suo “no grazie”. Paura della candidatura contrapposta di Carlo Calenda, o convinto dai suoi di non voler esacerbare le divisioni interne al M5s qualora avesse accettato di essere “l’uomo del Pd a Roma”, o per possibili altri calcoli, sta di fatto che Conte vuole ora entrare «dalla porta principale» (ovvero con le Elezioni Politiche) per il Parlamento e non con le varie Suppletive. La strategia scelta «darà più forza anche al Movimento rispetto alla disponibilità ad accomodarsi su un seggio frutto di una elezione suppletiva, condotta nella distrazione generale che accompagna le festività natalizie», aggiunge ancora l’ex Premier.



CONTE E LE TRAME NEL M5S (MA NON SOLO)

Certo, così Conte non sarà direttamente in Parlamento per la decisiva battaglia sul Quirinale (come ha invece scelto di fare Enrico Letta, candidandosi al seggio di Siena) e potrebbe lasciare a Luigi Di Maio la “guida” dei gruppi parlamentari nei giorni caldi delle votazioni, ma questo non sembra preoccupare più di tanto l’avvocato pugliese. «Pensare a un campo largo sì, ma più si estende e raccoglie indirizzi politici che esprimono personalismi e più la proposta di governo non è più credibile», spiega ancora il Presidente M5s di fatto escludendo Renzi e Calenda dal concetto di “largo Centrosinistra”. Al Pd non l’hanno presa benissimo e sul “Corriere della Sera” oggi Monica Guerzoni riporta qualche “rumors” dal Nazareno tutt’altro che sereno sul conto di Giuseppe Conte: «Era un sì, poi è diventato un no», lamenta un big Dem dopo la retromarcia contiana. L’alleanza con i 5Stelle in vista delle Elezioni Politiche sembra inevitabile, anche se dal Pd riflettono sulla «leadership molto debole» del loro principale alleato per battere il Centrodestra nel 2023 (o prima, dovesse davvero arrivare Mario Draghi al Quirinale). Le trame sono convulse ma dall’area vicino a Conte – riporta ancora il “CorSera” – si ragiona già con il pallottoliere: «Se il Pd alle Politiche supera il 20% e il M5S non fa il 15% dei sondaggi di oggi ma vola al 25%, battere le destre non è un miraggio». Infine, la sfida interna tra Conte e Di Maio sembra sempre più accesa, al netto delle parole di facciata: così un big M5s racconta a Guerzoni il “sospetto” del Presidente M5s circa gli accordo che avrebbe chiuso il Ministro degli Esteri in vista della partita Quirinale: «ha fatto un patto con Giorgetti per Draghi al Colle, Franco a Chigi, Giorgetti al Mef, Laura Castelli al Mise e lui alla Farnesina».

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