Domani si saprà se quel-che-resta del Governo Conte-bis raggiungerà i voti necessari per restare in sella per qualche mese oppure sino alla fine della legislatura. In queste ore, è ancora in corso un mercato leale e plurale perché ne dà puntualmente conto la stampa, anche se i costruttori/responsabili/voltagabbana possono avere gli attributi più diversi ma non quello di fedeltà del partito nelle cui file sono stati eletti. I cronisti e commentatori si arrovellano su chi sono o saranno codesti. Al vostro chroniqueur questo pare un interrogativo poco importante. E tali paiono gli scenari su quanto tempo potrebbe durare un eventuale Conte-ter.



Più utile cercare di vedere cosa deve fare chi assume, in questa fase, la responsabilità di governare l’Italia. E, poi, dedurre di che tipo di maggioranza c’è bisogno. Il prossimo Esecutivo, chiunque ne faccia parte, sarà inevitabilmente «il Governo dei conti in sospeso», perché il Conte-bis ne ha lasciati tanti da saldare. Le priorità del prossimo Esecutivo nel campo della politica economica non saranno unicamente quelle di cui parlano tutti i giornali – portare a compimento il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), combattere la pandemia in modo più efficace di quanto fatto nell’ultimo anno, alleviarne l’onere sulle categorie più colpite -, ma sarà principalmente saldare i conti “lasciati in sospeso” (con gli italiani). Infatti, tranne che un paio di temi molto cari al Movimento 5 Stelle – in particolare la riduzione del numero di parlamentari – il Conte-bis si è comportato come molti fanno con il bar sotto casa: lasciare “in sospeso” il conto del cappuccino e cornetto.



Ora il “conto in sospeso” è lievitato, il Conte- bis potrebbe essere costretto al trasloco e gli italiani si chiedono se il prossimo vicino o chi altri lo pagherà. In tema economico, “i conti in sospeso” sono principalmente in campo di politica industriale e di politica economica internazionale. È utile farne un breve elenco.

In primo luogo, ci sono la Rete Unica di banda ultralarga e il fidanzamento tra Open Fiber e Tim (che non hanno ancora scelto la data delle nozze e inviato le relative partecipazioni) e il matrimonio, già celebrato e consumato, tra Fiat-Chrysler e Psa con i conseguenti interrogativi sul futuro degli impianti localizzati in Italia. Seguono a ruota due questioni annose: i sempre eterni lamenti di Alitalia e dell’ex-Ilva (che faticano anche a pagare gli stipendi nonostante le frequenti iniezioni di capitale pubblico) e gli interrogativi sul futuro di Autostrade per l’Italia. Inoltre, Mediaset sta tentando di creare un polo europeo di audiovisivo, piano contrastato da Vivendi (che gode del supporto del Governo francese). Infine, c’è il crescente ruolo del capitale pubblico in molti settori del manifatturiero, senza chiari programmi (almeno nelle dichiarazioni pubbliche) se si tratta di misure temporanee, dovute alla pandemia, o misure permanenti per riportare l’industria italiana al modello prevalente nel dopoguerra ove non a quello degli ultimi lustri del fascismo. Ciò suscita numerosi dubbi sulla compatibilità di questo modello con i paradigmi dell’Unione europea; si legga in proposito il recente lavoro di Salvatore Zecchini La politica industriale nell’Italia dell’euro (Donzelli Editore, 2020) per toccare con mano quanti passi in avanti si sono fatti e quanti indietro si rischiano di fare.



Viene, poi, il terziario che, come in tutti i Paesi avanzati, rappresenta circa i due terzi del Pil. È stato il settore più colpito dalla pandemia, specialmente in alcuni comparti. Ci sono interrogativi seri di politica settoriale che attendono risposte. In quali comparti la pandemia ha accelerato tendenze già in atto (ad esempio, nel cinema la contrazione dell’offerta nelle sale e l’espansione dell’home entertainment) e come tali tendenze devono essere considerate nella formulazione e attuazione delle politiche? Come modernizzare alcune filiere? E così via. Possono sembrare interrogativi meno urgenti di quelli attinenti il manifatturiero. Ma non lo sono perché sia per il sollievo temporaneo, sia per strategia ci vuole chiarezza, nonché perché sollievo di breve periodo e strategia a medio e lungo termine sono strettamente interrelate.

Ci sono, poi, almeno due importantissimi appuntamenti di politica economica internazionale: il G20 che quest’anno è presieduto dall’Italia e la conferenza sul futuro dell’Europa. A proposito del primo, il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e il sempre loquace ufficio del Portavoce della presidenza del Consiglio stanno procedendo (se lo stanno facendo) in modo così riservato che non se ne sa nulla, mentre in passato (ossia vent’anni fa), Parlamento, opinione pubblica, istituti di ricerca sono stati interessati con lungo anticipo per apportare un loro contributo. Sulla conferenza sul futuro dell’Europa, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ha prodotto un ottimo Documento di Osservazioni e Proposte (che si può leggere sul sito dell’organo e su cui ritorneremo), ma non si sa nulla dal Governo, neanche le reazioni alle proposte del Cnel.

Numerosi “conti in sospeso” sono tali per genuine e legittime divergenze tra i due maggiori azionisti della maggioranza: il Partito democratico e il M5S. Possono essere saldati da una maggioranza costituita da questi due protagonisti rafforzati da una “pattuglia” di sostenitori?

Lo studio della letteratura greca e latina mi ha indotto al vecchio metodo di andare a interrogare i morti. Dato che abito a Roma vicino a Piazza Cola di Rienzo, mi sono rivolto al busto di Totò, là in bella vista e protagonista dell’indimenticabile 47 Morto che Parla. Ha risposto: «Ma mi faccia il piacere!!!».