Concludendo un aspro discorso, tutto rivolto ad esprimere giudizi molto critici sul vice-presidente del Consiglio e ministro degli Interni, il presidente del Consiglio ha dedicato il suo pensiero anche alla futuribile energia derivante dal moto ondoso. Un volo pindarico che la dice lunga sul meta-discorso con cui ha concluso questa sua prima esperienza politica: non mi interessa il qui ed ora, sono e resto al servizio dell’Italia.
Se questa era l’intenzione, la strategia non risponde all’obiettivo. Due settimane or sono, innanzi all’aut aut di Salvini, Conte non ha inteso rassegnare le dimissioni. Invece, ha voluto parlamentarizzare una crisi di governo non ancora ufficialmente aperta. E ieri ha sostenuto che il Parlamento è il luogo dove le crisi di governo si affrontano e si risolvono. Compiti che, a ben vedere, spettano al Capo dello Stato, che in vero Conte ha ringraziato per i preziosi consigli ricevuti. In definitiva, Conte si è assunto responsabilità non sue.
Soprattutto, così facendo, il presidente del Consiglio ha radicalmente cancellato ogni possibilità di ricostituire la coalizione giallo-verde. E poi, dichiarando le tante ragioni di contrasto con il leader della Lega, non solo ha finito per dare ragione a Salvini, ma ha anche annichilito le speranze di tornare subito utile al Paese. Quale forza politica, al di là dell’imbarazzato sostegno del M5s, è disposta a farne una bandiera per il prossimo futuro? E chi è disposto a seguirlo in un’eventuale avventura alla Monti?
Inoltre, è andata delusa la sua volontà di assicurare “trasparenza” alla crisi – informale – in atto. Il mezzogiorno di fuoco andato in scena al Senato è stato per alcuni aspetti spettacolare, ma politicamente vuoto. Le decisioni vere saranno prese, come è sempre accaduto, nel confronto riservato tra le forze politiche. Ma, a differenza del passato, il Parlamento non sarà luogo di semplice ratifica. Il perché è presto detto. La cintura di trasmissione che normalmente è stata assicurata tra i vertici dei partiti e i rispettivi gruppi parlamentari, adesso è parecchio sfilacciata. In passato non sono mancati scontri anche accesi (ad esempio nella Dc), ma finivano per trovare composizione all’interno del partito stesso.
Mattarella, insomma, non può fare pieno affidamento su quelle certezze su cui poteva contare Napolitano, anche nei momenti più delicati di risoluzione delle crisi di governo. Non solo sarà arduo comprendere il vero peso “parlamentare” delle forze in campo, ma si dovrà fare attenzione a non deflagrare la crisi di governo in crisi del Parlamento. Allora non vi sarà scampo, saranno elezioni tutti contro tutti.