Ieri la Banca d’Italia ha emesso un comunicato stampa per precisare che le nuove norme che entreranno in vigore dal primo gennaio 2021, in particolare sulla nuova definizione di default, non modificano la sostanza delle segnalazioni alla centrale dei rischi perché riguardano “esclusivamente il modo con cui le banche e gli intermediari finanziari devono classificare i clienti a fini prudenziali, ossia ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali”. La nota è arrivata dopo che ieri molti organi di informazione avevano segnalato che le nuove norme avrebbero determinato il blocco del pagamento di utenze, stipendi, contributi previdenziali e rate di finanziamenti, tra gli altri, nel caso in cui i clienti non abbiano sufficiente disponibilità sui conti correnti. In sostanza le nuove norme diminuirebbero di molto la flessibilità di cui godono moltissime piccole e medie imprese.
La nota della Banca d’Italia, a questo proposito, non è particolarmente rassicurante. Se cambia il modo con cui le banche devono classificare i clienti ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali è assolutamente probabile, per non dire certo, ipotizzare che cambierà anche il modo con cui le banche tratteranno i loro clienti rispetto a quello che avrebbero fatto prima delle nuove regole. Se un cliente “improvvisamente” costa di più in termini di requisiti patrimoniali, per le banche è più “costoso” e quindi le tutele e le prudenze non possono che aumentare.
È perfino inutile precisare che queste nuove norme arrivano negli stessi giorni in cui importanti associazioni di categoria segnalano il rischio concretissimo di chiusura per centinaia di migliaia di piccole attività. Sono numeri impressionanti che se confermati si traducono in milioni di nuovi disoccupati.
Quello che fa veramente impressione, nello scenario attuale, è la totale disconnessione tra la narrazione sul Covid e sulla necessità di restrizioni “prudenziali” e il futuro economico che le restrizioni di oggi stanno determinando. C’è una gara a superarsi in “prudenza” in un clima di bonus e sussidi a pioggia mentre chi può attinge alla rete famigliare o ai risparmi senza alcuna preoccupazione per il futuro che si sta costruendo. Possiamo certamente decidere di essere estremamente prudenti e chiudere tutto per altri sei mesi “per non sbagliare”. Queste soluzioni hanno però costi economici e sociali enormi di cui oggi si intravedono solo le primissime avvisaglie.
In questa totale disconnessione non entrano neanche di striscio riflessioni che dovrebbero essere di assoluto buon senso. Per esempio: chi pagherà la sanità se centinaia di migliaia di attività falliscono e ci sono milioni di nuovi disoccupati? Questo livello della discussione viene evaso fantasticando di “Recovery fund” e “soldi dell’Europa” senza che nessuno si ponga il problema che i debiti, alla fine, devono essere sempre onorati soprattutto se sono in mano a governi stranieri che devono rispondere ai loro elettori e alla loro opinione pubblica.
Il piccolo grande “scoop” delle nuove regole bancarie di ieri è molto spiacevole, ma può avere l’effetto di una secchiata d’acqua gelida in faccia in una fase in cui si parla di tutto tranne che dei costi economici, sociali e alla fine anche sanitari di quello che stiamo facendo oggi. A un certo punto qualcuno pretenderà che il conto venga saldato; è il conto di un crollo senza precedenti delle entrate tributarie e della morte di un numero incalcolabile di piccole imprese. Le banche, questa volta, non sembrano nemmeno il creditore peggiore.