La situazione di difficoltà dell’economia europea è forse più visibile, in questo momento, nella crisi che il suo Paese più importante, la Germania, sta attraversando. Non solo per un 2023 chiuso con un Pil in negativo (-0,3% secondo la stima di Destatis), ma anche per la scarsa compattezza politica della maggioranza. Basti pensare che mercoledì al Parlamento europeo i Verdi hanno votato contro l’avvio dei negoziati con Commissione e Consiglio sulla riforma del Patto di stabilità, sostenendo che le nuove regole porteranno al suicidio economico dell’Ue. Eppure queste stesse regole recepiscono molte delle richieste del Governo tedesco di cui i Verdi fanno parte. Per Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, è sempre più evidente che «in 20 anni siamo passati dalla crescita al declino della Germania. Il boom dell’economia teutonica a partire dal 2000 è stato fondamentalmente legato alla globalizzazione: i mercati asiatici divennero la nuova frontiera per l’industria tedesca. Questo ha consentito di creare una crescita per la Germania e per le economie dei Paesi collegati alla catena del valore della sua manifattura, Italia settentrionale compresa. Grazie a questo modello export lead, la Germania ha superato anche la crisi del 2008. Ci si potrebbe chiedere come mai, visto questo precedente, ora invece l’economia tedesca stia arrancando».
Come mai, a suo avviso, sta succedendo questo?
Anzitutto per la saturazione del mercato cinese, in un’economia che ha dato chiari segnali di rallentamento e che sta anche cercando di cambiare le sue caratteristiche a tutto svantaggio delle importazioni. Questo lento ma inesorabilmente mutamento ha avuto forti contraccolpi per la Germania. Per cercare di limitare i danni, Berlino dovrebbe costruire dei legami commerciali con l’India, che, quanto a ritmo di crescita del Pil e della popolazione, sta prendendo il posto della Cina sul palcoscenico globale.
Un compito non semplice, ma fattibile per la Germania…
Un compito complicato, però, dal fatto che oltre alle difficoltà sull’export, la Germania, dallo scoppio della guerra in Ucraina, sta affrontando uno shock notevole riguardante i costi dell’energia, non avendo più a disposizione il gas russo a buon mercato. Berlino sta scoprendo una forte vulnerabilità ai costi energetici e alle loro conseguenze sull’inflazione e con quello che sta accadendo in Medio Oriente le prospettive non sono rosee.
L’Europa può ripartire con una Germania in panne oppure deve attendere che l’economia tedesca esca dalla crisi?
L’Europa non può ripartire se non si riesce a dotare di un’istituzione unica per la finanza pubblica, una sorta di Mef europeo, con un bilancio federale. Del resto, se esiste la Bce dovremmo inevitabilmente e genuinamente avere chi coordina una politica fiscale comune. La Germania, dal canto suo, per rimettersi in carreggiata dovrebbe quanto meno superare la vulnerabilità energetica. Nella sua recente storia è riuscita con successo a cambiare gli standard sulla produzione dei frigoriferi dopo il bando dei Cfc, una svolta che era stata all’epoca vista come nefasta per l’industria tedesca. Il punto è che la Germania ha superato le difficoltà tramite le innovazioni e per rendere quest’ultime possibili occorrono investimenti.
Anche pubblici?
Assolutamente. Ecco perché parlavo di un’istituzione simile e a un ministero dell’Economia europeo per una politica fiscale, investimenti compresi, europea. Siamo in un momento in cui l’Europa va rafforzata, non indebolita.
Questo converrebbe anche alla Germania?
Certo. Per una ragione molto semplice: gli investimenti in innovazione e in capacità produttiva creano lavoro e reddito e, se aumenta il potere d’acquisto dei cittadini europei, la nuova frontiera tedesca che vent’anni fu la Cina potrebbe diventare l’Europa.
Con il nuovo Patto di stabilità, però, si va nella direzione opposta, visto che, soprattutto dopo il 2026, gli spazi per gli investimenti pubblici diventeranno risicati. Le elezioni europee possono aiutare a cambiare rotta?
Potrebbero aiutare. Di certo un Patto di stabilità che picchia in testa sui Paesi già di loro in difficoltà non può che essere disastroso. Il punto è che la chiave di volta per uscire dalla crisi è la reindustralizzazione dell’Europa. E la Germania ne sarebbe il primo beneficiario.
Se una speranza può essere rappresentata dalle elezioni europee, non crede che dovrebbero essere prima di tutto i partiti parte della “maggioranza Ursula” a cambiare rotta?
Sul piano politico bisognerebbe far capire che l’unità europea è un bene pubblico, che va a beneficio di tutti. Se però questo bene pubblico viene trascurato, come si vede oggi dal fatto che l’Ue arranca, allora rischia di arrivare il male pubblico, come abbiamo già visto in Grecia. Mi auguro che il nuovo Parlamento esprima una visione dell’Europa di questo genere.
(Lorenzo Torrisi)
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