Nella legge di conversione del Decreto sostegni bis è stato per la prima volta toccato un punto nevralgico dell’impianto del Decreto dignità, ovvero la regolamentazione della giustificazione causale del contratto a termine. Come noto, tenuta ferma la durata massima di 24 mesi di un rapporto di lavoro a termine, il Decreto dignità prevede l’obbligo causale al sopraggiungere del dodicesimo mese di contratto: tale norma, se da un lato ha avuto il pregio di limitare la reiterazione di contratti brevi, dall’altro ha certamente incentivato la dinamica del turnover periodico al dodicesimo mese, in particolare per le fasce di popolazione più difficilmente ricollocabili.
Sebbene questo schema rimanga invariato, la legge ha ora introdotto la previsione per cui la contrattazione collettiva nazionale, territoriale o aziendale possa prevedere altre causali che permettano il rinnovo o il proseguimento del rapporto oltre il 12 mesi, rispetto a quelle individuate dalla legge. Questo rappresenta un passaggio molto importante: finora erano i soli accordi aziendali o territoriale di prossimità (i famosi “articolo 8”) a poter intervenire su questa e altre materie riguardanti il contratto a termine. Tuttavia tali intese hanno dei vincoli che attengono allo scopo e alle circostanze che le determinano, esse devono infatti essere “finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”. Con la possibilità che la contrattazione collettiva “normale” possa individuare le causali, si dà credito a un modello di relazioni industriali più ampio della relazione di emergenza o di necessità (di cui gli accordi di prossimità rappresentano molto spesso un esempio), in cui si comincia a concepire le parti sociali congiuntamente al centro della gestione del sistema produttivo a tutti i livelli.
Il contratto a termine e la somministrazione sono, come testimoniano i dati degli ultimi mesi, le forme contrattuali che stanno trainando la ripresa nel nostro Paese: il protagonismo delle parti sociali nella gestione di queste tipologie di contratto diventa allora decisivo per la qualità della flessibilità che la ripresa porterà con sé. Un protagonismo, che come parte sindacale noi immaginiamo debba essere il più possibile esercitato a livello aziendale, perché è a questo livello che emergono con chiarezza le esigenze imprescindibili di flessibilità così come è sempre a questo livello che sono più riconoscibili gli abusi e la “precarietà strutturata”.
È importante quindi anche il senso di responsabilità che le parti sindacali dovranno mettere in campo nell’ambito della contrattazione. Se l’autonomia collettiva verrà infatti esercitata correttamente, si potranno costruire relazioni proficue, soluzioni su misura per l’impresa e l’occupazione a termine di qualità, intervenendo in particolare nelle situazioni a più alta concentrazione di contratti a termine: in questi casi l’azienda può rappresentare il luogo in cui si conviene su un modello di buona flessibilità, rispettosa delle persone così come delle reali esigenze aziendali, prevedendo percorsi progressivi di continuità occupazionale.
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