La legge di conversione del Decreto rilancio ha introdotto delle nuove disposizioni in tema di proroga e rinnovo dei contratti a termine. In particolare, all’art. 93 viene aggiunto un nuovo comma 1-bis, che dispone che i contratti di apprendistato di I e III livello e i contratti a termine, anche in somministrazione, sono prorogati per legge per un periodo pari alla sospensione dell’attività lavorativa subita a causa dell’emergenza Covid-19.
Questa norma, passata sotto traccia, ha un impatto giuridico e politico, oltre che economico, assolutamente rilevante. Ovvero lo Stato interviene sostanzialmente su pattuizioni privatistiche, quali sono i contratti di lavoro, definendone una nuova durata. Pertanto il nuovo termine dei rapporti di lavoro temporanei dovrà essere esteso per un numero di giorni pari a quelli di sospensione dell’attività.
Veniamo ora ai dubbi applicativi, prima di provare a trarne un giudizio di merito. Il primo quesito riguarda la platea di riferimento. Diventa difficile pensare che tale norma si applichi anche ai contratti a termine non più attivi alla data di entrata in vigore della legge, in quanto la proroga richiamata dalla normativa può essere applicata, senza soluzione di continuità, per i contratti in essere.
Sempre in riferimento alla corretta individuazione della platea dei contratti interessati, sarebbe opportuno chiarire in maniera più precisa a quali sospensioni dell’attività lavorativa si riferisce la norma: sicuramente possono essere considerati i periodi coperti dell’assegno ordinario Covid-19 (cassa integrazione), ma potrebbero essere inclusi anche altri strumenti di sospensione che la contrattazione ha generato in questi mesi per fronteggiare l’emergenza occupazionale, così come i periodi di congedo straordinario introdotti originariamente dal Decreto cura Italia, oppure, per esempio, i periodi di malattia o di “quarantena”, in quanto sono riconducibili a periodi di sospensione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica.
Non è nemmeno esplicitato se questa disposizione riguarda tutti i contratti, oppure solo quelli in essere a partire da una certa data, o le sospensioni dell’attività rientranti in un definito arco temporale. Nemmeno il riferimento all’emergenza epidemiologica viene in nostro aiuto, perché tengo a ricordare che lo stato di emergenza è stato proclamato formalmente il 31 gennaio, le misure restrittive a partire dal 23 febbraio, mentre il Decreto cura Italia (che disciplina appunto gli strumenti di sospensione dei rapporti di lavoro per fronteggiare l’emergenza) il 17 marzo.
La proroga dei contratti, presuppone un incremento della durata complessiva di quel rapporto di lavoro. Nel nostro ordinamento esistono dei limiti alla durata massima dei rapporti di lavoro a termine, che se superati obbligano i datori di lavoro alla stabilizzazione dei lavoratori interessati. Evidentemente risulta difficile (anche al più radicale tra i sindacalisti) pensare che ci possano essere delle “stabilizzazioni” per legge, per effetto del superamento delle durate massime a fronte del prolungamento dei contratti. Pertanto i periodi di lavoro realizzati grazie alla proroga prevista dal decreto dovrebbero essere considerati neutri ai fini del computo o della maturazione di altri istituti di legge.
Sicuramente la norma ha lo scopo di incrementare le garanzie occupazionali per i lavoratori, ma oltre le finalità, per attuare delle misure reali, pertinenti e quindi efficaci, occorre conoscere e leggere attentamente la realtà, capirne le sfaccettature e le particolarità, altrimenti si corre il rischio di scrivere una norma di difficile attuazione.
Per questo le parti sociali hanno chiesto ripetutamente un maggiore confronto durante l’iter di conversione in legge del Decreto rilancio, perché oltre alla poca chiarezza di alcune norme contenute nel testo bisogna rilevare anche l’assenza di altri interventi ritenuti fondamentali per la tutela dell’occupazione e del mercato del lavoro. In particolare, mi riferisco all’eliminazione del contributo addizionale dello 0,5% per ogni rinnovo stipulato nei settori stagionali individuati dalla contrattazione collettiva, un intervento più deciso e strutturale per un allentamento delle causali e un allargamento dei beneficiari delle indennità Covid-19 a platee inspiegabilmente escluse, come i lavoratori somministrati stagionali nei settori non rientranti nel turismo e degli stabilimenti termali.
Queste sono questioni politiche, che riguardano sia un giudizio sulle priorità da affrontare che le modalità procedurali e operative con le quali si traducono le idee e i contenuti in atti concreti che migliorano la vita della gente. Non sono tecnicismi, ma esprimono la capacità di effettuare interventi, magari non eticamente perfetti, (perché ogni vera decisone politica impone una scelta) che siano però realizzabili e identifichino chiaramente priorità da salvaguardare. È stato molto chiaro papa Francesco domenica durante l’Angelus: i servi avevano la preoccupazione di avere un campo senza zizzania, il Padrone aveva la priorità di custodire il grano.