È di questi giorni la presentazione del Rapporto 2023 dell’Osservatorio del mercato del lavoro curato dalla Città Metropolitana di Milano. Ormai da molti anni l’istituzione meneghina dedica un’approfondita analisi dei movimenti che si registrano sul mercato del lavoro locale negli ultimi 12 mesi. Essendo l’analisi dell’area economica più avanzata del nostro Paese offre sempre spunti di riflessione per comprendere i movimenti del mercato del lavoro che investiranno poi l’intera nostra economia. Il lavoro dell’Osservatorio è però di grande supporto anche durante l’anno, perché fornisce dati in tempo reale alle amministrazioni comunali permettendo così interventi a sostegno degli insediamenti produttivi e per politiche di marketing territoriale.



Questa edizione del Rapporto mette in luce una crescita della capacità di analisi dei dati, proponendo quelli relativi a tutti gli eventi che caratterizzano i rapporti di lavoro. In questo modo, oltre all’andamento complessivo del dato dei nuovi occupati e delle cessazioni dei rapporti di lavoro, si sono potute analizzare anche le trasformazioni contrattuali che si siano limitate a proroghe dei contratti a termine o che siano diventati a tempo indeterminato.



I dati presentati si riferiscono a tutto il 2022 e al primo semestre 2023. In sintesi, emerge come il 2022 sia stato ancora un anno caratterizzato da forti movimenti di entrata e uscita dal mercato del lavoro come impatto determinato dalla stasi imposta dal periodo pandemico. Le variazioni annue dei dati sono tutte a due cifre, +17,7% degli avviamenti e +20,1% per le uscite. Le proroghe contrattuali crescono del 8,5% e le trasformazioni a tempo pieno aumentano del 48,7%. Il primo semestre del 2023 segna un ritorno a cifre più contenute: si ferma la crescita degli avviamenti e delle cessazioni, anche le proroghe scendono all’1,1% e solo le trasformazioni restano a tasso di crescita a due cifre con il 15,6%.



Questa dinamica è inserita in una fase che vede una crescita costante dell’occupazione nell’area milanese. I saldi complessivi segnano un aumento di occupati nel 2022 di 51.420 unità e ben 48.615 nel primo semestre 2023. Tutti i settori economici contribuiscono alla crescita dell’occupazione. I servizi alle imprese rappresentano quasi il 50% dell’incremento complessivo e commercio, logistica e pubblici esercizi contribuiscono per circa il 25%.

Ultima annotazione che si può trarre dai dati è quella relativa alla forma contrattuale che caratterizza le nuove assunzioni: il tempo indeterminato è la forma ormai largamente prevalente a partire dal 2022.

Con la tematica contrattuale si entra però nel tema centrale del Rapporto. L’Osservatorio metropolitano milanese ha voluto indagare con l’applicazione di quali contratti vengono attuate le nuove assunzioni. Tralasciamo qui le complesse ipotesi di lavoro che sono state fatte per rendere analizzabili i dati contrattuali segnalati dalle Comunicazioni obbligatorie per confrontarli con le classificazioni della banca dati Cnel. L’opportunità di offrire un’analisi dei contratti nazionali applicati nelle assunzioni operate da aziende di tutti i settori economici offre per la prima volta uno spaccato di realtà utilissimo per affrontare con realismo il dibattito sul riferimento contrattuale da considerare come base per l’ipotesi di salario minimo o per dare sostanza al richiamo costituzionale del giusto riconoscimento economico per il lavoro.

La realtà milanese, come pure indicano i dati Cnel a livello nazionale, dà una forte prevalenza ai contratti nazionali “confederali” (firmati da Cgil, Cisl e Uil). Rappresentano con dati cob del 2022 il 90,4%. Il 4,2% è fatto di assunzioni basate su contratti non confederali (rappresentanze territoriali locali e spesso costituite da studi professionali per introdurre contratti a sostegno delle imprese cui forniscono servizi di contabilità). Vi è poi un 5,4% di casi in cui sono applicati contratti non identificabili.

Per ogni tipologia contrattuale è possibile definire le caratteristiche della tipologia di imprese e lavoratori che se ne avvalgono.

Il contratto “confederale” caratterizza rapporti di lavoro pluriennali, riguarda soprattutto professionalità intermedie per professioni tecniche e industriali, è applicato da imprese di tutti i settori che caratterizzano l’economia milanese, sia da imprese di media e grande dimensione che dalle imprese artigiane. In prevalenza si tratta di assunzioni di lavoratori italiani maschi.

Gli avviamenti non confederali sono prevalentemente usati per assunzioni di durata limitata, a carattere temporaneo o stagionale e con part-time. Riguardano prevalentemente lavoratori immigrati, livelli di istruzione e qualifiche basse. Prevalgono imprese cooperative rispetto ad altre tipologie di imprese e sono soprattutto attive nella logistica, pulizie, guardiania, magazzinaggio e altri servizi alle imprese.

Gli avviamenti con contratti non identificati sono a termine con durata talvolta sotto i due mesi, ma anche di durata significativa. Sono prevalentemente a tempo pieno. Vengono applicati a due gruppi ben distinti di lavoratori. Il primo con alte qualifiche in settori ad alta tecnologia e un secondo formato da qualifiche di lavori manuali per servizi alle imprese e alla persona. Sono presenti imprese di tutti i settori compreso quello agricolo e riguardano in prevalenza donne.

Questa prima analisi che cerca di fare luce sull’utilizzo di contratti non confederali mette in luce come vi sia una crescita, per quanto contenuta, che negli ultimi anni appare costante. Appaiono alla luce della realtà economica milanese due fenomeni da valutare a a cui offrire possibili alternative. Il primo è l’utilizzo di contratti sottoscritti da rappresentanze di difficile identificazione che offrono forme contrattuali che permettono la crescita del fenomeno del lavoro povero prevalentemente nel settore dei servizi alle imprese. È la caratteristica elle cooperative spurie e di piccole imprese di servizi. Contribuiscono poi, in assenza di vigilanza sulla giusta mercede, ad appalti fuori standard per i compensi o a contratti, anche confederali, che devono tenere conto di un d’impiego salariale scorretto.

A fronte di questi vi sono però anche contratti non standard e non confederali che rispondono alla flessibilità connessa a nuove professioni ad alta professionalità che sono quasi sempre a tempo determinato per ragioni connesse allo stesso ciclo produttivo. A questi si deve trovare soluzione nell’aprire nuove flessibilità contrattuali a nuove professioni. L’esempio avviato con le tutele per i lavoratori interinali e oggi in via di estensione per le partite Iva può indicare la via su cui iniziare a sperimentare soluzioni.

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