L’intervento complessivo in ambito giuslavoristico contenuto nella Legge di bilancio 2022 si snoda lungo direttrici ampie che vanno dalla riduzione del cuneo fiscale alla riforma degli ammortizzatori sociali. Viene esteso il campo di applicazione della Cassa integrazione e si rende pressoché strutturale il Fis. Risorse importanti interessano la Naspi, per la quale viene rivisto il meccanismo di décalage, e il Reddito di cittadinanza, che viene confermato, fermo restando il requisito della condizionalità. In disparte gli incentivi a sostegno dell’occupazione femminile, su cui pure si investe molto, desta particolare interesse la convinta conferma del contratto di espansione la cui “sperimentazione” viene prolungata e finanche estesa.



Il contratto di espansione, nonostante voci dissonanti di taluni detrattori per i quali risulterebbe troppo costoso per le aziende e poco conveniente per i lavoratori, ha fatto registrare delle buone perfomance tanto che, inizialmente previsto per aziende con un organico di 1.000 dipendenti, è stato poi progressivamente reso fruibile, con la Legge di bilancio 2021 prima e con il cd. Decreto sostegni bis poi, alle aziende con 100 dipendenti. 



Con la Legge di bilancio 2022 si vuole ora confermarlo anche per gli anni 2022 e 2023, estendendolo alle aziende con almeno 50 dipendenti, così includendo le aziende medio-piccole e ampliando la platea dei fruitori, anche in considerazione del fatto che la detta soglia minima occupazionale si potrà raggiungere anche con le aggregazioni stabili di impresa. L’art. 63 della Legge di bilancio lascia invariati i requisiti procedurali e la regolamentazione previsti dalla norma originaria (art. 41 D. Lgs. n. 148/2015, introdotto dall’art. 26-quater D.L. 34/2019). 

Come noto, l’impresa che intende avviare processi di reindustrializzazione e riorganizzazione finalizzati allo sviluppo tecnologico dell’attività, con la conseguente esigenza di modificare le competenze professionali in organico prevedendo anche l’assunzione di nuove professionalità, può avviare una procedura di consultazione, finalizzata a stipulare, in sede governativa, un contratto di espansione coinvolgendo le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (o le loro Rsa/Rsu). L’accordo raggiunto viene formalizzato in un contratto, di natura gestionale, che deve contenere: il numero dei lavoratori da assumere e l’indicazione dei profili professionali compatibili; la programmazione temporale delle assunzioni e l’indicazione della durata a tempo indeterminato delle stesse; la riduzione complessiva media dell’orario di lavoro e il numero dei lavoratori interessati dalla riduzione oraria o dall’accesso al trattamento pensionistico anticipato. 



Così come concepito, il contratto di espansione consente di gestire i cambiamenti organizzativi e le trasformazioni aziendali attraverso quattro strumenti, tra loro trasversali e complementari. In primis, lo “scivolo pensionistico”, destinato ai lavoratori che matureranno i requisiti di accesso alla pensione entro i successivi 60 mesi. Occorre tuttavia sottolineare che tale scivolo, pur se sostenuto dal contributo pubblico, comporta comunque un costo per il datore di lavoro che deve integrare il differenziale tra la prestazione “pensionistica” temporanea e il valore della Naspi che sarebbe spettata a seguito del licenziamento e, nel caso di pensione anticipata, deve sostenere il costo della contribuzione piena. In più, il programma di assunzioni, contenuto nel contratto di espansione, deve essere finalizzato ad agevolare sia il turn-over generazionale che l’assunzione di soggetti in possesso delle necessarie nuove competenze. Si deve però trattare di contratti a tempo indeterminato, ivi includendo il contratto di apprendistato, in cui la finalità formativa rappresenta l’essenza stessa del rapporto sinallagmatico. 

Per i lavoratori che rimangono, l’impresa deve presentare un progetto di formazione e riqualificazione che deve contenere le misure atte a garantire l’effettività della formazione necessaria per far conseguire le “nuove” competenze e deve descrivere i contenuti formativi e le modalità attuative, il numero complessivo dei lavoratori e delle ore di formazione, nonché le competenze tecniche professionali iniziali e finali. In tale ottica emerge il fine essenziale del contratto di espansione che è, fondamentalmente, quello di favorire la trasformazione e l’ammodernamento tecnologico attraverso l’acquisizione di nuove competenze, da costruire sia attraverso la pianificazione di nuove assunzioni, sia attraverso un solido un progetto di formazione e riqualificazione interna. 

L’ulteriore possibilità di riduzione dell’orario di lavoro, per i lavoratori che non si trovano nella condizione di beneficiare dell’anzidetto scivolo pensionistico, rappresenta, infine, una tecnica ben sperimentata e già consolidata nelle realtà in cui si effettuano ristrutturazioni e/o riorganizzazioni nell’ottica di un sacrificio condiviso, comunque contenuto nella soglia massima del 30 per cento dell’orario dei lavoratori interessati, e nella finalità auspicata di una “rinascita” collettiva.

È del tutto evidente come il Legislatore punti su tale strumento per supportare trasformazioni aziendali e ricambi generazionali in modo non unilaterale e c’è da augurarsi che anche le PMI, cui per la prima volta lo strumento è reso fruibile, sappiano valutarne la potenziale efficacia, anche se sarebbe auspicabile, per queste, una riduzione degli oneri connessi e una maggiore semplificazione degli aspetti procedurali.

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