Maggiori opportunità di carriera e di formazione, con una nuova e più organica disciplina del lavoro agile. La preintesa sul Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Funzioni Locali, sottoscritta martedì tra l’Agenzia nazionale per la contrattazione (Aran) e le parti sindacali è caratterizzata da un elevato tasso di innovazione rispetto al passato, ma, come ovvio, non mancano i punti controversi.
È opportuno precisare che la sigla delle parti intervenuta martedì non chiude il percorso: come già evidenziato, si tratta solo della preintesa, cioè della prestazione di consenso tra le parti sul complesso del contratto, la cui firma definitiva ed entrata in vigore, tuttavia, avverrà tra 30-45 giorni, il tempo dei controlli in particolare della Corte dei conti, la cui certificazione consentirà la firma definitiva.
Peraltro, alcune delle norme più innovative, quelle specificamente dedicate allo sviluppo di carriera, non saranno immediatamente operative, perché entreranno in vigore il giorno 1 del mese successivo a un periodo dilatorio pari a cinque mesi dalla sottoscrizione definitiva.
Carriera. La preintesa fissa un nuovo ordinamento professionale, organizzato su quattro aree: operatori, assistenti, funzionari ed elevate professionalità. Mentre le prime tre aree riorganizzano preesistenti aree o categorie funzionali, assicurando la loro omogeneizzazione, la quarta, quella delle elevate professionalità, è introdotta ex novo, in attuazione della recente riforma disposta col d.l. 80/2021, che aveva demandato proprio alla contrattazione nazionale collettiva il compito di regolare un’ulteriore area di inquadramento oltre a quelle esistenti.
Il nuovo ordinamento si accompagna a strumenti per aumenti economici e la promozione verso aree superiori. Gli aumenti, denominati “differenziali stipendiali” spetteranno 2 volte nel corso della carriera per gli operatori e 5 volte per assistenti e funzionari. Non saranno automatici incrementi stipendiali, perché con i contratti decentrati occorrerà predeterminare il numero massimo di dipendenti (per ciascuna area) da gratificare, selezionandoli in base alla media delle ultime tre valutazioni individuali annuali conseguite, dell’esperienza professionale maturata e a ulteriori criteri, definiti in sede di contrattazione integrativa correlati alle capacità culturali e professionali acquisite anche attraverso i percorsi formativi.
Una delle principali sfide consisterà nel verificare quanto i contratti di secondo livello saranno in grado di introdurre criteri realmente meritocratici, senza dare peso eccessivo all’anzianità. Le esperienze del passato non lasciano molte speranze: del resto, vi è un’oggettiva difficoltà a distinguere appunto tra anzianità ed “esperienza professionale”.
La preintesa sulle promozioni (progressioni verticali) non dice molto, poiché la materia è riservata alla legge. Il nuovo ordinamento professionale avrebbe dovuto rimettere alla contrattazione di secondo livello la possibilità di definire nuove “famiglie professionali” (cioè profili, come specificano le dichiarazioni congiunte alla preintesa), con connessa facoltà di attrarre profili professionali oggi appartenenti ad aree inferiori, verso aree superiori. Ma, i reinquadramenti automatici previsti dalla preintesa lasciano i profili di appartenenza nelle aree pertinenti.
Piuttosto, la possibilità, ammessa dal d.l. 80/2021, di utilizzare il reinquadramento previsto dai contratti come strumento per una promozione verso l’alto di profili professionali, è stata interpretata, invece, come possibilità di ammettere alle prove valutative (concorsi interni facilitati) per le progressioni verticali (cioè le promozioni da un’area all’altra) anche a personale privo del titolo di studio necessario per accedere tramite concorso, purché con almeno 8 anni di servizio (per il passaggio da operatore ad assistente) o 10 anni (per la scalata da assistente a funzionario). Non sarà, tuttavia, possibile ascendere alla nuova area delle elevate professionalità, perché nasce appositamente vuota perché destinata a essere riempita con gli “esperti”, da assumere in particolare ai fini dell’attuazione dei progetti previsti dal Pnrr.
Formazione. La formazione del personale era stata qualificata come vero e proprio diritto dei dipendenti dall’accordo di marzo tra Palazzo Vidoni e sindacati. La preintesa mantiene fede all’impegno e innova profondamente la materia, in primo luogo prevedendo in capo alle amministrazioni l’obbligo di finanziare la formazione, destinando a tale scopo almeno l’1% dell’insieme del valore dei salari dei dipendenti. Tali risorse sono da destinare a piani della formazione del personale, da redigere sulla base dell’analisi dei fabbisogni formativi rilevati nell’organizzazione.
La formazione potrà essere continua, assicurando quindi ai dipendenti un costante aggiornamento o addirittura riorientamento verso nuove professioni, ma in particolare finalizzata ad accompagnare innovazioni tecnologiche, organizzative e normative. Non solo: gli enti dovranno assicurare ai nuovi assunti, sia reclutati tramite concorsi, sia provenienti dal trasferimento da altri enti, specifiche attività formative. Che, come visto prima, saranno da dedicare anche all’acquisizione di punteggi per le selezioni finalizzati agli aumenti economici.
Addirittura, il Ccnl, con una disposizione la cui compatibilità con il sistema pubblico è da valutare con attenzione, indica alle amministrazioni la possibilità di costituire, sulla falsariga dell’esperienza del lavoro privato, enti bilaterali con le organizzazioni, col compito appunto di erogare la formazione.
Lavoro agile. La preintesa nella sostanza ripete i contenuti delle Linee Guida sullo smart working, recentemente concordate tra Funzione Pubblica e organizzazioni sindacali e destinate a regolare la materia in attesa della vigenza del Ccnl sottoscritto in via definitiva.
Col Ccnl il lavoro agile torna a essere una delle possibili modalità di effettuazione della prestazione lavorativa per processi e attività di lavoro, quindi in concorrenza col lavoro in presenza. Le Pa potranno avvalersene, tuttavia, a condizione – ovvia – di disporre dei mezzi strumentali e organizzativi necessari e di garantire il miglioramento dell’efficacia dei servizi resi.
A queste condizioni, non vi saranno limiti percentuali ai dipendenti che potranno essere posti in smart working, sulla base, comunque, dell’espressione di una loro chiara volontà, da trasfondere nell’accordo individuale.
La preintesa, recependo i contenuti nelle Linee Guida, regola anche il “lavoro da remoto”, un vero e proprio telelavoro, cioè lo svolgimento dell’attività lavorativa, entro l’orario ordinario di lavoro in una sede fissa, diversa da quella dell’ufficio, individuabile o nell’abitazione del lavoratore o in “centri satellite”.
Poiché il “lavoro da remoto” è caratterizzato dal rispetto dei vincoli di orario ordinari e non richiede necessariamente specifici obiettivi da raggiungere, si presenta come un serio concorrente al lavoro agile, che per l’assenza di vincoli di orario e luogo e l’impossibilità di ottenere straordinari e la restrizione a benefit come permessi orari, appare a molti come più complesso e difficoltoso da gestire.
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