Secondo l’Ocse, in assenza di variazioni delle politiche, il rapporto debito pubblico/Pil italiano aumenterà nei prossimi anni. E per riportarlo “su un percorso più prudente, sostenere i costi futuri e rispettare le regole fiscali europee, sarà necessario un duraturo aggiustamento di bilancio”. Per questo, l’organizzazione internazionale con sede a Parigi suggerisce al nostro Paese non solo di contenere le spese, tra cui quelle per la previdenza, ma anche di muoversi sul fronte delle entrate con uno spostamento dell’imposizione fiscale dal lavoro alle successioni e ai beni immobili, prevedendo un aggiornamento dei valori catastali. L’Ocse ritiene anche opportuno limitare “la proliferazione di regimi speciali di imposte forfettarie”, un consiglio che è stato letto come una bocciatura della flat tax. Abbiamo chiesto un commento a Nicola Rossi, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata e membro del cda dell’Istituto Bruno Leoni.
Cosa pensa dell’allarme giunto dall’Ocse sull’andamento del debito pubblico italiano su Pil nei prossimi anni?
È del tutto comprensibile che se ci saranno tassi di crescita significativamente ridotti negli anni a venire, un problema si determinerà con certezza. Se il Pnrr non darà gli effetti sperati, vuoi per carenze nel suo impianto o nella sua attuazione, e se intorno a noi il mondo continuerà a a essere pervaso dall’incertezza, basti pensare a quello che sta accadendo nel Mar Rosso, la crescita italiana non potrà che risentirne e il tema della sostenibilità del debito pubblico non potrà che porsi in maniera ancora più stringente.
Per mettere il rapporto debito/Pil in sicurezza, l’Ocse suggerisce degli interventi. Come giudica quelli sul piano fiscale?
Da tempo viene segnalata l’opportunità di uno spostamento dall’imposizione diretta a quella indiretta. Temo, tuttavia, che il momento opportuno per farlo sia passato, perché un’operazione di questo tipo andava realizzata con un’inflazione praticamente a zero, come quella che abbiamo sperimentato fino a due anni fa. L’opportunità di questo spostamento, quindi, resta, ma realizzarlo ora è più complicato. Per quanto riguarda, invece, la tassazione degli immobili, continuo a pensare che l’imposizione patrimoniale sia facile da proporre, ma che dal punto di vista del funzionamento del sistema tributario, della sua razionalità ed equità, non sia una strada molto ragionevole. Basti pensare che, a seconda dell’andamento del tasso di interesse, una tassazione patrimoniale può configurarsi addirittura come espropriativa.
Perché espropriativa?
Ricorro a un esempio per spiegarmi. Se un patrimonio venisse tassato all’1,5% e quel patrimonio rendesse, per via della situazione macroeconomica, poco più dello 0%, così com’è stato di fatto per oltre 10 anni fino a che non sono stati alzati i tassi di interesse, sostanzialmente non solo si andrebbe a prelevare l’intero rendimento, ma anche oltre. E questa situazione di rendimenti molto bassi è stata molto diffusa in passato, ma potrebbe verificarsi ancora in futuro.
Anche per quanto riguarda il patrimonio immobiliare?
Certamente. Il rendimento in questo caso viene valutato rapportando l’ammontare dell’affitto al valore del bene. Io continuo, quindi, a pensare che vadano tassati i proventi del patrimonio, come gli affitti nel caso di immobili o i rendimenti nel caso di patrimonio finanziario.
Di fatto è quello che già avviene…
Infatti. Il problema è proprio questo: se la rendita è già tassata, non ci si può permettere di tassare anche il patrimonio. Ho invece la netta sensazione che dietro alle proposte su un’imposta patrimoniale vi sia un retropensiero secondo il quale tassare due volte la stessa cosa è perfettamente ragionevole. Io, piuttosto, lo considero un’aberrazione.
L’indicazione sui regimi forfettari può essere letta come uno stop dell’Ocse alla flat tax?
Il vero problema dei regimi forfettari è che non sono ben coerenti fra di loro, spesso sono disorganici, a volte nascondono degli incentivi perversi. Il che dimostra che c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare il sistema fiscale italiano e mi auguro che l’attuazione della riforma possa fornirgli un minimo di coerenza e razionalità. Detto questo, sostenere che gli attuali regimi forfettari non vanno bene non ha alcuna implicazione per quanto riguarda la flat tax.
Torniamo al punto da cui siamo partiti: per far scendere il debito/Pil, la strada maestra, piuttosto che quella di una patrimoniale, è quindi la crescita?
La strada maestra è certamente quella della crescita. Occorre, però, chiarire che non la si crea con il bilancio pubblico: questa è una pia illusione che molti in Italia e non solo hanno coltivato negli ultimi decenni,. Credo che l’evidenza mostri con chiarezza che il bilancio pubblico può certamente aiutare a gestire la congiuntura, ma non è la leva per la crescita.
Dov’è allora la leva giusta per la crescita?
Sta nella voglia e nella capacità di fare impresa e assumersi rischi. Tutte cose rispetto alle quali non facciamo nulla.
Cosa si potrebbe fare?
Bisogna rendere molto più facile fare impresa, ma soprattutto occorre un’operazione, se così posso dire, culturale, nel senso che l’impresa viene considerata da una larga parte dell’opinione pubblica italiana un disvalore, qualcosa che nasconde sempre comportamenti non accettabili, non condivisibili. Non è così: l’impresa è la strada attraverso cui l’intero Paese può crescere. Bisogna naturalmente, però, che questa operazione culturale venga fatta, soprattutto dall’alto, invitando gli italiani a tornare a fare impresa, perché hanno smesso: non c’è solo un problema demografico in senso stretto nel nostro Paese, ma anche di desertificazione imprenditoriale, visto che perdura da circa 20 anni un saldo negativo tra aperture e cessazioni di impresa.
Un’ultima domanda. Le dichiarazioni del Vicepresidente della Commissione europea Dombrovskis di settimana scorsa (“Il budget italiano non sembra essere in linea con le raccomandazioni del Consiglio Ue”) hanno fatto pensare a una richiesta di una manovra correttiva in primavera. Sarà necessario vararla?
Molte proiezioni tendono a ridurre la previsione di crescita fatta dal Governo in occasione della Nadef e occorrerà vedere se saranno confermate. È chiaro che se dovesse dimezzarsi il tasso di crescita presumo che il Governo dovrà modificare la rotta, almeno marginalmente, in modo da rispettare gli obiettivi concordati. Bisognerà, quindi, avere informazioni più chiare sull’andamento della crescita almeno della prima metà dell’anno per capire cosa si dovrà fare.
(Lorenzo Torrisi)
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