Non ha dubbi Mario Baldassarri, ex viceministro all’Economia e Presidente del Centro Studi EconomiaReale: per evitare di ritrovarci a settembre-ottobre nel bel mezzo di una bufera economico-sociale, occorre varare subito una manovra da 40 miliardi di euro che riduca il cuneo fiscale.
Professore, un grosso problema per il Paese al momento pare essere quello relativo allo spread: la Presidente della Bce, Christine Lagarde, ha annunciato il rialzo dei tassi, ha detto che ci sarà uno strumento per evitare un eccessivo aumento dei differenziali tra titoli di stato dei Paesi dell’Eurozona, ma ancora non si sa come funzionerà…
Il punto è proprio questo. Normalmente, un Banchiere centrale, nel momento in cui fa un annuncio dovrebbe fornire anche delle concrete definizioni rispetto al suo contenuto. Certamente gli annunci vengono fatti per agire sulle aspettative, ma quando si dice che aumenteranno i tassi e non si precisa qual è lo strumento per contenere gli spread, è chiaro che sulle aspettative ha effetto solo l’aumento dei tassi e gli spread salgono.
Anche il celebre whatever it takes era stato solo un annuncio.
Sì, ma nel senso opposto, cioè nell’abbassare i tassi che avrebbero ridotto lo spread. Annunciando il taglio dei tassi e l’acquisto di titoli era implicito che gli spread si sarebbero ridotti. Si è agito quindi subito sulle aspettative nella direzione desiderata.
Era necessario alzare i tassi per contrastare la crescente inflazione?
L’inflazione europea è molto diversa da quella americana. Quest’ultima deriva da un eccesso di domanda, tanto che la disoccupazione negli Usa è al 3,5%, mentre la prima è un’inflazione da costi, in particolare quelli delle materie prime energetiche e agricole, e, come tutti gli economisti sanno, essa difficilmente può essere contrastata con la sola politica monetaria. O meglio, la politica monetaria può abbattere l’inflazione da costi passando, però, attraverso una profonda recessione, con conseguente disoccupazione.
Tagliando di fatto la domanda.
Sì, frenando molto la domanda prima o poi i prezzi si riducono.
C’è allora un altro modo per frenare l’inflazione senza causare una recessione?
Occorrono una politica di bilancio e una politica industriale di medio lungo termine. Il problema è che nell’Ue non c’è una politica di bilancio, ce ne sono 27 quanti i Paesi membri, e manca anche una politica industriale ed energetica comune che risponda al problema dei costi dell’energia attraverso una forte, seria e strutturale diversificazione delle fonti. Tutto questo è lasciato ai singoli Governi nazionali e ognuno va un po’ per conto suo.
Per dotarsi di queste politiche si potrebbe cominciare da un fondo?
Pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina avevo proposto di raddoppiare il Next Generation Eu per creare un bilancio federale europeo destinato a tre obiettivi: dare sostegni alle imprese europee colpite dalle sanzioni alla Russia; realizzare un piano energetico Ue strutturale e immediato; dar vita a una politica estera e di difesa comune nell’ambito della Nato, senza passare attraverso 27 bilanci nazionali ai quali si chiede di portare al 2% del Pil le spese per la difesa. Tutto questo significa avere un embrione di Europa federale. E ho anche proposto che questo embrione parta anche soltanto dai 4 Paesi più importanti – Germania, Francia, Italia e Spagna -, che da soli rappresentano il 75% del Pil e della popolazione europea.
Questo è possibile anche in un momento in cui Macron è stato indebolito dal risultato delle ultime elezioni parlamentari?
Credo che Macron, a maggior ragione dopo il risultato delle elezioni francesi, abbia tutto l’interesse a proporre questo schema, perché le difficoltà economiche tendono a spaccare le società e a far avanzare gli estremi, come successo appunto in Francia, e l’unica risposta strutturale che si può fornire è quella di andare avanti nel processo di integrazione, altrimenti l’Europa rimane a metà del guado, senza capacità di reagire in modo serio, e le società si spaccano ulteriormente.
Prima ha detto che occorre una politica di bilancio per contrastare l’inflazione. Questo anche a livello nazionale?
Assolutamente sì.
Cosa andrebbe fatto in Italia?
Lo scenario che si prefigura è quello di un’inflazione al 7% mentre i salari restano fermi in attesa dei rinnovi contrattuali imminenti. Se i salari rimanessero al palo, la perdita di potere d’acquisto si scaricherebbe immediatamente sui consumi, e di conseguenza frenerebbe le attività delle imprese e i loro investimenti. Se invece i contratti recuperassero il 7% di inflazione, allora verrebbe messa in moto la spirale salari-prezzi che porterebbe l’indice dei prezzi almeno al 10% l’anno prossimo.
Uno scenario da evitare.
Sì. Per questo occorre una manovra immediata da 40 miliardi che sostenga il potere d’acquisto di salari e pensioni, senza scaricarlo sui costi delle imprese.
In che modo?
Strutturalmente in Italia uno stipendio netto di 1.200 euro costa a un’impresa 3.000 euro. Dato che dobbiamo fare la riforma fiscale, anche come condizione per ottenere i fondi del Pnrr, allora la manovra da 40 miliardi può diventare la pietra d’angolo della riforma fiscale che andrà in vigore dal 2023, diventando strutturale e permanente, agendo pesantemente sul cuneo fiscale e contributivo.
Una manovra, però, da non fare in deficit…
Esattamente. Va fatta ricavando le risorse dai 950 miliardi di spesa pubblica, tagliando sprechi, ruberie, malversazioni, tax expenditures, ecc.
E il Governo, dopo lo strappo che c’è stato in questi giorni nel Movimento 5 Stelle, dovrebbe avere la forza per poter fare una manovra di questo genere.
A maggior ragione, a mio parere, sarebbe opportuno che il Premier, che ha tutte le qualità per comprendere la situazione, anche perché è un eccellente economista, parlasse al suo Governo e al Paese per presentare questo tipo di operazione. Avevo proposto di anticipare la Legge di bilancio a giugno-luglio, perché se aspettiamo settembre-ottobre ci ritroveremo nel bel mezzo della bufera.
Da che punto di vista?
Economico e sociale. Diventerà sempre più evidente la perdita di potere d’acquisto delle famiglie e non potremo dire che l’anno prossimo staremo meglio, perché ci sarebbero da superare mesi in cui tornerebbe a farsi sentire il peso delle bollette energetiche. Il ministro Cingolani ha già spiegato che quest’anno famiglie e imprese avrebbero avuto extra costi, derivanti dall’aumento dei prezzi di carburanti e bollette, per circa 100 miliardi di euro. È vero che il Governo ha varato, giustamente, sostegni per 30 miliardi, ma ne sono rimasti fuori 70 a carico degli italiani. Per questo è urgente anticipare la manovra in modo che possa essere efficace già dall’autunno.
(Lorenzo Torrisi)
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