Con la recentissima sentenza n. 50919 del 17 dicembre 2019, le Sezioni Penali della Cassazione tornano sul tema delle telecamere in azienda, affermando che ai fini della loro (legittima) installazione non è sufficiente il preventivo consenso di tutti i lavoratori, essendo necessario acquisire un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o un’autorizzazione da parte del competente Ispettorato del Lavoro.



La materia è regolata dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (nel testo modificato dal Jobs Act nel 2015), secondo cui gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalle Rsa/Rsu presenti nell’unità produttiva, ovvero, nel caso di imprese con unità produttive plurilocalizzate, con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.



In mancanza di tale accordo, i suddetti strumenti possono essere installati previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.

Tale disciplina di tutela non si applica agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, nonché agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, a condizione che l’applicazione che consente il controllo a distanza (come, ad esempio, un eventuale geolocalizzatore Gps) sia strettamente necessaria per lo svolgimento delle mansioni e non sia un mero elemento aggiuntivo reso opportuno, ad esempio, da esigenze assicurative (Ispettorato Nazionale del Lavoro, circ. 2/2016).



Al di fuori di tale tassativa area di esclusione, invece, l’installazione di sistemi di controllo a distanza deve essere preceduta da un accordo sindacale o da un’autorizzazione amministrativa. Nella realtà, tuttavia, si sono posti non pochi problemi applicativi.

A titolo esemplificativo, infatti, la norma non chiarisce cosa succeda se l’accordo sindacale per l’installazione del sistema di controllo a distanza sia sottoscritto solo da alcune rappresentanze sindacali e non da tutte quelle presenti. A tal riguardo, sia il ministero del Lavoro, sia successivamente l’Ispettorato nazionale del lavoro hanno precisato che in caso di dissenso di alcune parti sindacali è comunque sufficiente che l’accordo sia sottoscritto dalla maggioranza delle Rsa presenti nell’unità produttiva.

Più critica, invece, è l’ipotesi esaminata dalla recente decisione della Cassazione. È infatti legittimo installare impianti di controllo senza il benestare delle organizzazioni sindacali, ma con il consenso di tutti i lavoratori coinvolti? Si badi bene che nel diritto del lavoro il dipendente è inteso sempre come soggetto debole che, in quanto tale, gode di importanti tutele al fine di prevenire che sottoscriva accordi o dichiarazioni lesive dei suoi diritti. Ciò nonostante, la stessa Cassazione, con sentenza n. 22611 del 2012, aveva ritenuto non punibile penalmente la condotta del datore di lavoro che aveva installato un impianto di videosorveglianza sulla base della sola autorizzazione scritta dei propri dipendenti.

Con la sentenza in commento, invece, la Corte (per il vero, riprendendo la precedente pronuncia n. 3882/2018) ha ritenuto irrilevante il consenso dei singoli lavoratori, evidenziando che la regolamentazione della materia è affidata alle rappresentanze sindacali o, in subordine, a un organo pubblico, e non ai singoli dipendenti, il cui consenso, a causa della posizione di svantaggio rivestita, non assume alcun rilievo esimente.

La materia è evidentemente molto delicata, tenuto conto che la violazione della normativa in questione costituisce illecito penale; inoltre, in alcuni settori (come, ad esempio, quello socio-sanitario educativo o logistico), il tema è tutt’altro che marginale, coinvolgendo interessi produttivi e di sicurezza di non poco conto.

Sarebbe auspicabile, quindi, avere indicazioni giurisprudenziali chiare e univoche su tali aspetti, così da prevenire eventuali condotte illecite non addebitabili alla malafede del datore di lavoro, bensì solo all’oggettiva difficoltà interpretativa dei precetti da rispettare.

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