La lotta alla evasione fiscale è un tema sempre attuale che divide e non va in ferie. Non si fa a tempo a metabolizzare un adempimento o un provvedimento che subito si passa a dover esaminare quello successivo. Da metà maggio a oggi si è passati dal redditometro sì/redditometro no per finire con un provvedimento di sospensione dello stesso, alla partenza del concordato preventivo biennale (che alla prova dei fatti rischia di non essere così appetibile), per arrivare poi alla proposta dell’Agenzia delle Entrate di agire contro gli evasori anche spulciando sui social.



Il presupposto di quest’ultimo intento è semplice: quando si pensa di essere soli o in confidenza con la propria cerchia di amici si tende a essere meno prudenti ed è su questo che punta l’Agenzia delle Entrate per scovare l’evasione. Verificando, infatti, cosa facciamo, come ci vestiamo, cosa esibiamo, dove andiamo (a cena o in viaggio) proverà a ricostruire il reddito di ciascuno di noi.



Alla volontà dell’AdE si è posta una obiezione, ovvero che l’analisi dei post è assimilabile alle intercettazioni telefoniche per cui occorre maneggiare con cura la materia e non lasciare mano libera a un’Agenzia che non ha rango di Organo dello Stato. L’azione che l’AdE intende proporre sicuramente agevola l’insorgenza di un po’ di insofferenza, poiché è evidente che pare non basti rispettare le regole fiscali ma occorre continuamente essere messi alla prova. La risposta più banale che si dà all’insofferenza è “male non fare, paura non avere”, ma ciò non basta poiché gli errori di valutazione e/o di mala interpretazione di dati e di fatti sono all’ordine del giorno. Non sono la norma, ma di certo non sono pochi e senza dubbio non vi è equilibrio di fronte alla deresponsabilizzazione dei funzionari che agiscono. È giusto, dunque, prima di dare il via libera, meditare sulle regole da imporre affinché i di diritti dei contribuenti siano tutelati.



Nel dibattito sull’utilizzo dei social per combattere l’evasione si è inserito il Garante per la privacy che ha affermato il proprio ruolo sottolineando che occorre, sin da subito, garantire la tutela dei dati personali messa in discussione dall’utilizzo che si intende fare dell’Intelligenza artificiale (IA) per spulciare i post sui i social. La portata della tematica è stata amplificata dall’approvazione dell’AI Act da parte del Parlamento europeo che richiede agli Stati membri di adottare un quadro normativo per adeguare gli ordinamenti interni all’utilizzo che si vorrà fare dell’IA.

Come anticipato, il recupero di informazioni direttamente dai social è stato “equiparato” alle intercettazioni telefoniche. Il sistema delle intercettazioni è regolamentato e, pur essendolo, è sempre foriero di critiche per l’ingerenza che ha nella privacy dei cittadini, sia di quelli sotto indagine che di quelli che incappano nelle indagini in maniera indiretta, solo perché hanno rapporti con gli indagati. Nel caso delle intercettazioni c’è la magistratura che è chiamata, in più momenti, a verificare e garantire l’utilizzo corretto delle intercettazioni e dei dati acquisiti. Come detto, nel caso della lotta all’evasione da perseguire attraverso i social è probabile che la raccolta dei dati avverrà attraverso l’utilizzo dell’IA. Occorrerà, quindi, adottare un regolamento che ponga un confine all’invasione della nostra sfera privata. In questo ambito si è inserito il Garante per la privacy che ha sollecitato il Governo ad attribuire al medesimo la competenza in tema di utilizzo dell’IA.

Secondo il Garante, la richiesta è perfettamente in linea con il ruolo dell’Autorità e della competenza già acquisita dalla stessa in materia di processo decisionale automatizzato e ciò perché esiste una stretta interrelazione tra intelligenza artificiale e protezione dati. La considerazione fatta dal Garante appare articolata e non mossa da una semplice volontà di affermazione personale. Il ragionamento del Garante, infatti, parte dalla considerazione che l’AI Act si fonda sull’articolo 16 del Trattato che regola il funzionamento dell’Unione europea, che è anche alla base giuridica della normativa di protezione dei dati e dello stesso Regolamento sull’intelligenza artificiale. Il Garante, partendo da queste considerazioni, conclude affermando e rivendicando come sia suo compito, anche per le competenze sin qui acquisite, avere il controllo su processi algoritmici che utilizzino dati personali.

Posto in questi termini, e in attesa delle decisioni del Governo, si può ravvisare nella posizione del Garante un altolà anche all’AdE che senza regole rischia di avviare una battaglia contro l’evasione che alla prova dei fatti potrebbe non avere un supporto giuridico. Dall’altro lato non va sottaciuto che anche il Garante talvolta non appare indenne da voler affermare la sua individualità. Non convince, infatti, l’altolà alla fattura elettronica per le professioni sanitarie imposto in ragione della tutela alla privacy.

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