È fallito anche l’ennesimo meeting mondiale sul clima che si chiude a Dubai visto che “COP 28“, al netto di slogan, chiacchiere, buoni propositi e gridi d’allarme, si è spenta nel previsto nulla di fatto.

Mentre in Italia adesso va di moda colorare di verde fiumi e lagune, oppure spennellare di arancione i monumenti storici, si assiste a un altro clamoroso fallimento sugli obiettivi climatici mondiali e sarebbe ora di chiederci perché.



Molte le risposte, ma una è fondamentale: il mondo ha fame di energia e il modo più spiccio (e inquinante) per produrla è continuare a bruciare carbone e petrolio, preferibilmente il primo.

Un po’ assurdo – tra l’altro – organizzare il meeting climatico proprio a Dubai, iper-moderna città cresciuta grazie alle royalties petrolifere e allo sfruttamento di milioni di poveri lavoratori asiatici, ma dove l’unica volontà di eventualmente ridurre l’estrazione è legata a mantenere i prezzi del petrolio i più alti possibili.



Salta all’occhio un dato fondamentale, ma poco diffuso. Un chilowattora in Italia costa oggi 61 centesimi di dollaro, in Cina 9 (nove!). La Cina arranca, cresce meno di prima ma cresce comunque, anche perché – oltre a salari da fame – produce e utilizza energia a basso costo. Che poi per produrla si inquini è considerato elemento secondario.

Mentre in Europa si vola nel firmamento degli angeli green, in Cina si continuano ad aprire nuove centrali (a carbone!) e grandi stabilimenti vengono costruiti addirittura “dentro” le miniere riducendo così i costi energetici fino a solo 4 cent di dollaro per kilowattora.



Può mai reggere una acciaieria a Taranto rispetto a una concorrente cinese? Ovvio che no, ma quando tutto l’acciaio – così come le componentistiche – saranno prodotte in Cina e in pochi altri Paesi, chi comanderà il mondo?

Ma come si può mai pensare che un dittatore come Xi, alle prese con una potenziale crisi economica interna, si possa permettere di ulteriormente rallentare la già incerta crescita del suo Paese (almeno rispetto ai nostri parametri) aumentando il costo dell’energia e quindi dei prodotti finiti, rendendoli meno competitivi?

Nessuno – e tantomeno Xi – salvo obblighi stringenti lo farebbe, ma nello stesso tempo lo squilibrio energetico è tale che oggi l’Italia paga l’energia 7 volte di più della Cina e – come buona parte dell’Ue – esce di mercato.

Noi siamo bellissimi ma infarciti di demagogia e così l’Ue è una narcisa fanciulla che si considera la prima della classe e produce leggi su leggi, ma di fatto continua ad aggiungere solo costi su costi senza incidere minimamente sull’inquinamento globale.

Perché questo il punto: l’aria si muove e pur con tutti i suoi sacrifici non migliora in Europa se peggiora in India e così – globalmente – peggiora comunque. Certamente bisognerebbe obbligare tutti a rispettare degli obbiettivi, ma poiché questi limiti non solo non si concordano ma soprattutto non si applicano è ovvio che perde chi è debole (noi) e non ha il carbone o il petrolio sotto le scarpe.

Il ministro del petrolio kuwaitiano, Saad al-Barrak, ha definito ieri la pressione Ue per mettere progressivamente al bando l’energia prodotta con fonti fossili un “attacco aggressivo”, accusando i Paesi occidentali di “Cercare di dominare l’economia globale attraverso le energie rinnovabili (!!)”. Secondo lui si tratta di “una lotta per la nostra libertà e i nostri valori”.

“Dobbiamo dare l’esempio”, si sostiene invece a Bruxelles (mi sembra però con voce più flebile), ma ancora una volta Dubai ha clamorosamente smentito che questo “buon esempio” abbia un minimo effetto sul pianeta e soprattutto sia condiviso.

Gli altri sono più pragmatici: Trump addirittura urla “Trivellare, trivellare!” ma già oggi un kilowatt – che costa appunto 61 cent in Italia- negli saA ne costa solo 14, contro i 24 della Francia, i 44 della Germania, i 42 della Gran Bretagna, i 12 dell’India.

Ma come mai i nostri vicini europei spendono di meno? Perché in Francia buona parte dell’energia proviene da fonte nucleare, con la sublime e inimitabile nostra ipocrisia di acquistarla proprio dai francesi dopo che abbiamo distrutto con un referendum la nostra produzione interna. Ma anche Svizzera e Slovenia il nucleare se lo tengono stretto, mentre in Germania, Regno Unito o Polonia è il carbone a farla da padrone, piaccia o meno a chi colora di verde il Canal Grande e – chissà perché – non va a fare le dimostrazioni in Germania.

Penso con rabbia a quanti miliardi di euro ci è costato quel referendum sul nucleare poi caparbiamente difeso per decenni solo per pura demagogia e cocciutaggine, senza semmai pensare a come realizzare centrali più moderne e sicure, com’è avvenuto in tutto il mondo.

E qui la sorpresa – l’unica – è arrivata proprio da Dubai con la rivalutazione ufficiale proprio dell’energia nucleare e la richiesta del suo rilancio generale alla faccia degli antinuclearisti nostrani.

Danno e beffe, insomma, oltretutto mentre Putin sorride a 32 denti: non è stato piegato dalle sanzioni e – anche dal punto di vista energetico – ha gravemente danneggiato l’economia dei “nemici” molto di più che non con le bombe su Kiev.

Qualcuno, in Italia e in Europa, avrà mai il coraggio di scendere a terra dal beato mondo dei sogni e fare finalmente i conti con la realtà?

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