Sono serviti 14 anni prima di poter giungere, forse, ad un epilogo giudiziario su un caso delicato di presunto stupro su una figlia. Questa l’accusa nei confronti di una coppia, una 47enne di Viterbo ed il suo compagno, vittima dell’infamante accusa di aver abusato della bimba di lei, nel 2006, quando la piccola aveva appena 6 anni. Per il giudice che si è pronunciato ieri, però, “il fatto non sussiste”. La madre è ancora frastornata ma, come riferisce Corriere.it, non ha potuto non commentare con grande soddisfazione la fine di un incubo: “Dopo 13 anni e mezzo è ora di chiudere questa storia per sempre”, dice, con il solo obiettivo, da adesso, di lasciarsi tutto alle spalle. A scagionare lei ed il suo ormai ex compagno, è stata la Corte d’Appello di Roma ribaltando con il suo verdetto quanto stabilito in primo grado, quando era giunta per entrambi la condanna a 5 anni per violenza sessuale su minore. Quella bimba che all’epoca dei presunti fatti aveva solo 6 anni, oggi è una donna e di anni ne ha 19. La madre però vuole comunque preservarla da questa brutta storia di infamanti accuse. “Lo chiamava papà, vivevamo insieme da quando lei era molto piccola e abbiamo continuato a farlo, finché la nostra vita non è cambiata per sempre”, ha commentato la 47enne.



IL LUNGO CALVARIO DURATO 14 ANNI

Un calvario lungo quasi 14 anni, quello vissuto da una donna di Viterbo e dall’allora suo compagno, dove le date sono tante e difficili da dimenticare. La prima tappa è il 28 gennaio 2006 quando all’ora di cena fecero irruzione in casa i carabinieri: “Ci hanno detto di seguirli in caserma senza spiegarci. Ho chiesto di aspettare che mia madre venisse a prendere la bambina”, racconta la 47enne. Ma ciò non fu possibile poichè anche la piccola fu portata in caserma. Furono arrestati tutti e tre: lei, la figlioletta ed il suo compagno. Quella bambina però, molto presto sparì dallo sguardo della madre, portata prima in un’altra ala della caserma, poi al pronto soccorso, quindi in una casa famiglia e infine affidata alla nonna ma con il divieto a madre e patrigno di vederla. Per tre anni, la donna non poté vedere la sua bambina, neppure in presenza degli assistenti sociali: “La cosa più brutta non è stata il carcere: ho fatto 37 giorni in isolamento tra Civitavecchia e Rebibbia, incidevo piccole tacche sul muro per contare i giorni e le ore. Poi ci sono stati gli 11 mesi ai domiciliari. Ma nulla mi è pesato come perdere tre anni con mia figlia: l’avevo lasciata a 6 anni, l’ho ripresa a 9”. Madre e figlia furono felici di ritrovarsi ma nessuno le potrà mai ridare indietro gli anni persi. “Ci hanno distrutto un pezzo di vita che non ritorna”.



LE INDAGINI E I PROCESSI

Ad accusare la donna ed il suo allora compagno fu la badante di una vicina di casa dopo aver sentito piangere la bimba dalla camera da letto della coppia. Quindi udì i genitori che la inseguivano e la piccola che si lamentava con “frasi inequivocabilmente significative”, secondo i giudici del primo grado. Da qui l’ipotesi di possibili abusi sessuali e la denuncia. In casa della coppia furono messe le microspie ma le registrazioni venivano avviate dall’operatore a suo piacimento, come emerso dagli atti. E così, oltre alla denuncia della badante si sommarono anche le immagini dell’uomo seminudo prima di andare a fare la doccia, la bimba sul letto, lui che la prende per le gambe come a divaricargliele. Ma sono solo fotogrammi che si sarebbero potuti spiegare in breve tempo. “Se solo il tribunale avesse acconsentito alla richiesta, più volte reiterata, di visionare il filmato nella sua interezza avrebbe potuto (e dovuto) vedere che l’imputato si limitava a spingere la bambina per i piedi per farle fare capriole all’indietro. Il tutto per una frazione di secondo”, spiega la difesa. Dalle visite mediche eseguite sulla bimba non emerse alcun segno di violenza ed anche ascoltata in sede di incidente probatorio non raccontò mai di presunti abusi. Oggi quella bambina mai abusata vive con la sua mamma. La sua seconda madre, ovvero la nonna affidataria, è morta di tumore. “Non ha potuto assistere alla mia assoluzione, né vedere la fine di questo incubo”, ha commentato la 47enne. Ora potrebbe non essersi ancora chiusa la faccenda giudiziaria in quanto la procura potrebbe ricorrere in Cassazione ma la difesa si dice fiduciosa.

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