Povera Mila, con quel nome da cartoni animati, con le lentiggini e l’aria sbarazzina e impertinente, in che guaio sei capitata. In che dramma ti sei cacciata, e hai cacciato la tua famiglia. Credevi di vivere in un paese che erge i diritti individuali a suprema deità, dove la libertà è sacra e sovrana, e chiunque può esprimere quel che crede, giusto o sbagliato che sia.



Soprattutto se, incalzata sui social, risponde – male – a tono, insultando colpevolmente la religione islamica. E ricevendo tali e tanto gravi insulti e minacce da dover essere messa sotto scorta, con i suoi cari, impedita a frequentare la scuola.

Siamo in presenza di una sedicenne che manifesta pericolosi segni di razzismo e di odio antireligioso, effettivamente. Una sedicenne. Che posta un video arrabbiato, cattivo, volgare, come se ne vedono tanti. Come ne ha ricevuti, prima e dopo. Ma parliamo di una sedicenne, contro cui è stato aperto un procedimento giudiziario per incitamento all’odio (per fortuna archiviato), come ai figuri che l’hanno minacciata, pubblicando il suo indirizzo di casa e di scuola.



Ricordiamo che in Francia non esiste una legge contro la blasfemia. È il paese dei diritti, diamine. Puoi tranquillamente insultare il papa o Gesù Cristo e ricevere applausi per uno sberleffo, esaltato per la libertà di satira. Il papa, Gesù. Non puoi però permetterti di sbeffeggiare l’islam senza rischiare fatwe e attentati. Si è liberi finché non si rischia nulla, insomma. Nel paese che abolisce il termine e il concetto di “padre” perché, ci dicono, si può essere padri o madri a seconda dell’umore e della volontà del momento, si può essere padri e madri insieme, eccetera, nemmeno davanti al disprezzo e alla violenza che si rivolge contro una ragazzina chiamandola “schifosa lesbica” i difensori dei diritti sono tutti dalla stessa parte.



E la Francia si divide, tra chi paragona il caso di Mila a quello dei vignettisti di Charlie Hebdo, colpiti atrocemente dalla furia islamista, e chi in punta di penna distingue, perché Mila non faceva satira, cari i miei intellò, e quindi è maggiormente colpevole, e dunque “se l’è cercata”.

Poi ci si crogiola nel #metoo e si cercano platee per far valere giustamente i diritti delle donne, che notoriamente se la cercano, quando vengono violentate, fisicamente o psicologicamente.

Parliamo di una ragazzina, 16 anni. Una bella lavata di capo, da qualche poliziotto severo, una bella sospensione a scuola, l’invito a dedicare qualche pomeriggio ad aiutare famiglie di musulmani perbene, e lei stessa dice che ce ne sono tante. Si chiama educazione. E perseguire senza se e senza ma i micidiali distruttori di un’identità, un carattere, una giovinezza, certi dell’impunità perché vittime del politically correct, dell’esasperazione dei diritti individuali, qualsivoglia siano le pulsioni che li determinano, e possiamo tranquillamente assolverli per giusta reazione.

La paura piega anche il diritto, l’opportunità o l’interesse politico anche di più. Così si dà rilievo al delegato francese per il culto musulmano, che chiosa “Chi semina vento raccoglie tempesta”, dove lo sturm und drang significa morte, possibilmente, e lecitamente. E non risulta che sia stato indagato, né invitato a svolgere il suo ruolo di delegato per il culto in uno dei paesi dove la libertà di espressione è negata, e si sentirebbe più a suo agio.

Mila, testardamente, chiede scusa, ma non per tutto: agli insulti ha risposto con insulti, sbagliati, ma giustificabili, di protesta. Che dobbiamo dirle? È cresciuta nel paese della libertà, la piccola Marianna, dovrebbero darle un premio, o no? “Dico quello che penso, ne ho assoluto diritto, non ho ripianti”, insiste la ragazzina. Le hanno insegnato così.