La nota positiva di quest’ultima giornata di campionato è che la Roma ha vinto in casa, all’Olimpico, con un goal capolavoro del giovane Erik Lamela il giocatore più atteso in casa giallorossa e anche tra i più costosi del calciomercato estivo. A parte questo, l’euforia che si respira intorno alla squadra pare francamente eccessiva. Non dimentichiamoci che solo una settimana fa la stessa Roma aveva regalato un derby all’ultimo secondo di partita a una Lazio non proprio imbattibile. Come in quell’occasione, anche contro il Palermo, la squadra di Luis Enrique ha alternato cose buone a errori stucchevoli. Solita partenza sprint: grande pressing, buon possesso palla, reparti vicini. E goal lampo, come nel derby, nei primi dieci minuti di gioco. Trovato il vantaggio, invece che liberarsi mentalmente, la Roma ha arretrato il proprio baricentro e si è disunita lasciando troppa iniziativa agli avversari che anche ieri hanno rischiato, e forse meritato più volte, di raggiungere il pareggio. Solo a tratti la Roma è riuscita a riprendere in mano il filo della partita. Se questo è stato bene o male il canovaccio della prima frazione di gioco, nel secondo tempo è andata anche peggio, come già era successo contro la Lazio. Per fortuna, stavolta, la mira non felice dei palermitani ha graziato i giallorossi che, seppur in sofferenza, hanno comunque prodotto e sprecato a loro volta almeno 5 chiare occasioni da rete. E’ vero che il lavoro del tecnico spagnolo, per sua stessa ammissione, è solo al 20%, ma la fisionomia della sua Roma è ormai ben definita: una squadra che costruisce tanto in fase offensiva ma che lascia anche molte(troppe) occasioni agli avversari. E qui veniamo alla riflessione forse più interessante. Quella di Lucho corre il rischio di essere una Roma a matrice “spallettiana”. Cioè una squadra che ha un suo gioco, che tenta di imporlo a prescindere dall’avversario, ma che quando gli riesce pecca di vanità. Si guarda allo specchio, si piace. E’ come se i calciatori si compiacessero di più per la bella giocata che per la finalizzazione. Un problema di estetica: un goal normale vale meno di un goal alla “Lamela” per intenderci. Un solo esempio: nel secondo tempo Osvaldo ha avuto sui piedi l’occasione del raddoppio, nitida. Si è liberato bene in area avversaria e invece che calciare direttamente in porta ha provato un’improbabile traiettoria a giro sul secondo palo, forse per non essere da meno del suo connazionale Erik. Così fa anche il Barcellona. Certo. Ma Messi e compagni sono di un altro pianeta. E questi vezzi glieli concediamo. La Roma, invece, non può ancora permettersi…
…di giocare le gare ufficiali come fossero degli allenamenti. Al contrario deve affrontare gli allenamenti con la stessa cattiveria agonistica delle partite vere. Un leit-motiv che a Trigoria conoscono bene persino i magazzinieri. Forse è proprio per questo che il buon Luis Enrique ha pensato bene di portarsi dalla Spagna un’amico-psicologo.