Qualche anno fa, o forse anche qualcosa di più, le lezioni più dure si imparavano a suon di bacchettate sulle nocche. E’ un racconto che sarà ricorso più di una volta, almeno per chi ha avuto la fortuna di parlare un po’ con la propria madre (o nonna) che queste cose le ha viste. E la correzione dolorosa era istantanea. Nemmeno il tempo di farla “fuori dal vaso” che zac. Sicuramente la prossima volta ci si pensava due volte. E’ un po’ questo il senso di quello che è successo in Roma-Milan, nell’anticipo della decima giornata di campionato. Per Luis Enrique e la squadra sono state due: gli errori difensivi che sono costati due gol per il Milan, cinico e spietato. Prima bacchettata. Il buco sul colpo di testa di Nesta, quello del 2-1, che lo stesso allenatore giallorosso ha ammesso con grande onestà alla  fine della partita. Non è cosa da poco in questa nuova Roma nello stile, nella sportività e nella grande onestà sportiva. Era appena arrivato il pareggio con un bel colpo di testa su calcio d’angolo e ancora, come a Genova, è arrivata una rete su palla inattiva. La seconda bacchettata sull’azione del 3-1.
Il movimento sbagliato di Capitan Futuro tiene in gioco Ibrahimovic e il gol chiude di fatto la partita, vanificando quello di Bojan forse anche più da un punto di vista psicologico che sostanziale. Questa in sintesi la lezione, ma Luis Enrique l’ha capita. L’aveva capita anche a Genova, ma i ritmi accelerati del turno infrasettimanale certo non giovano a un gruppo che ha bisogno di amalgamarsi e di acquisire automatismi. Detto questo però, c’è da registrare qualcosa di profondamente positivo legato a questa Roma. Il nervosismo che è trapelato dalle dichiarazioni di Ibrahimovic a fine gara “potevamo vincere 5-1” o l’espulsione di Boateng che solo per una fortuita circostanza (ai forti spesso capita così) è avvenuta un attimo dopo, e non un attimo prima, che venisse sostituito e l’espulsione di Massimiliano Allegri per un mancato fallo laterale ci dicono di quanto sia in crescita e “sportivamente pericolosa” la Roma.
C’è una oggettività di classifica, certo, che non è lusinghiera, ma ci sono altrettante oggettività legate alla partita e al campionato che dicono dei progressi di una realtà assolutamente nuova nel panorama del calcio italiano. E che comincia a generare anticorpi. Si sa, un tempo bastava la piazza romana, dopo un paio di partite andate male (figuriamoci dopo la sconfitta in un derby e in casa contro il Milan) a destabilizzare lo spogliatoio e accendere la miccia di una polveriera. Oggi no. La piazza è più matura, speranzosa e crede nella cultura del lavoro di Luis Enrique. E questo non va giù agli Ibrahimovic di turno. Perchè con un po’ di brillantezza in più Osvaldo, Bojan, Pjanic anche loro avrebbero potuto lasciare il segno.

No, caro Ibra, quella partita sarebbe potuta finire con qualsiasi risultato: 1-5, 4-3, 2-1. Con i “se” non si fa la storia, ma con i numeri la si può leggere. Almeno quella di una partita. Roma: ventidue tiri in porta di cui nove nello specchio. Milan, quindici tiri in porta di cui quattro nello specchio. Passaggi riusciti: Roma 67,6%, Milan 61,1 %. Calci d’angolo Roma 13, Milan 4. Supremazia territoriale: Roma 13 minuti e 18 secondi, Milan 8 minuti e 50 secondi. Pericolosità 71,3 % Roma, 62,7% Milan. Senza contare che un certo Francesco Totti, miglior passatore e tiratore della Roma non era della partita. Certo, lo score del punteggio dice che ha vinto il Milan, e chi vince lo fa sempre – alla fine – con merito. Ma quanto dà fastidio ai signori del calcio la nascita di un nuovo avversario… 

(Claudio Franchini)