Roma, è finita. Avevamo detto che la gara con l’Atalanta sarebbe stata quella del “dentro o fuori”, molto più del derby. E dopo questa ennesima batosta, l’undicesima della stagione, la stracittadina di settimana prossima vale quanto la sfilata dei carri al carnevale di Viareggio. Cioè praticamente nulla. Walter Sabatini e Franco Baldini avevano provato in settimana a rianimare questa Roma, a darle degli obbiettivi ambiziosi, un senso per sperare e lottare in questo finale di campionato. Ma la terapia non ha funzionato. Avevamo scritto sette giorni fa, dopo la vittoria con il Parma, che la Roma era in crisi e che aveva fatto una pessima partita. Tutti gli altri quotidiani sportivi ad elogiarla e a parlare di rincorsa al terzo posto. Avevamo detto che la situazione ormai è definitivamente compromessa, motivando tali affermazioni, ma qualche lettore ci ha criticati, legittimamente, per questo nostro eccessivo pessimismo. Lo diciamo molto umilmente: non siamo dei frati indovini, il fatto è che i limiti di questa Roma sono ormai evidenti. Basta solo volerli vedere. Ammettiamolo: il progetto è fallito. Luis Enrique ha fallito. E deve farsi da parte. Deve andarsene con tutto il suo integralismo, con le sue stucchevoli regole morali, con le sue alchimie e astrusità. Vada al Barcellona che è pronto a riaccoglierlo. Roma non fa per lui. Sarà che i giocatori a disposizioni non sono funzionali alla sua idea di gioco, che il suo sistema è troppo difficile da assimilare e richiede tempo. Sarà tutto vero, per carità. Come è altrettanto vero, però, che un Colantuono o un Cosmi qualunque, con una rosa di giocatori come quella dei giallorossi, avrebbero fatto molti più punti e starebbero ben figurando in questo campionato dei mediocri. Non serve commentare la prestazione di oggi (vi rimando alle puntate precedenti…) per dire che i primi due gol sono arrivati in contropiede, che la difesa non ha fatto bene il fuorigioco, che gli attaccanti non hanno fatto pressing e che a centrocampo si sono sbagliati troppi passaggi facili ecc. Nel primo tempo un solo tiro nello specchio della porta. Non ci basta vedere due buone prestazioni per accontentarci e sognare un futuro migliore. E’ pura illusione. Ed è altrettanto stucchevole il ritornello di quegli “intenditori” del calcio (non romanisti) che parlano di un grande gioco, di un progetto vincente (ma l’anno prossimo…). Francamente chissenefrega dell’anno prossimo, non sappiamo neppure se ci saremo ancora. Noi ci siamo oggi e giudichiamo quel che abbiamo visto anche oggi. E non ci va bene vedere De Rossi seduto in tribuna. Per motivi disciplinari. Ma chi è il signor Luis Enrique per impartire lezioni morali a uno come Daniele che ama la Roma più di qualsiasi altra cosa al mondo (dopo la figlia Gaia)? Non c’è ritardo o distrazione che giustifichi una tale esclusione. Oggi De Rossi è l’anima, il punto di equilibrio tattico-psicologico di questa Roma. E in una partita da “dentro o fuori” come quella con l’Atalanta non poteva essere lasciato fuori per nessun motivo al mondo. Luis Enrique con la sua scelta ha danneggiato una società quotata in Borsa. Degli azionisti. In nome di che cosa? Delle regole di comportamento? Ma ci faccia il piacere. E’ stato anche lui un giocatore, per di più dalla testa calda, e dovrebbe sapere che i calciatori non sono delle dame inglesi e che lo spogliatoio non è una caserma. Baldini organizzi un incontro urgente tra Luis e Capello. Il tecnico di Pieris potrebbe raccontargli che la Roma dello scudetto era una polveriera, che lui e Totti non si salutavano, che Montella lo mandava a quel paese ogni due per tre. Per non parlare di Panucci… Ma Capello ha sempre gestito queste situazioni con equilibrio e flessibilità pensando al risultato. cioè al bene della Roma. Lo spagnolo, oggi, dice che il suo obbiettivo è di creare una squadra, uno spogliatoio di uomini veri ed educati. Sì, teoricamente siamo tutti d’accordo, se stessimo parlando delle formazioni Allievi o Primavera. Se invece devi gestire la prima squadra il discorso cambia. Non puoi pensare di insegnare l’educazione a gente viziata di 25-30 anni. Ci provi coi suoi figli e vedrà che anche con loro è difficile. Ma con i suoi calciatori si limiti a metterli bene in campo, a motivarli e a creare le condizioni per vincere le partite. Questo vale molto di più di quella coerenza sbandierata da allenatori e dirigenti romanisti, anche oggi, a fine partita. Persone così per bene e oneste, se fossero davvero coerenti con loro stesse, dovrebbero ammettere candidamente che il progetto è fallito. E lo spagnolo dovrebbe cambiare aria. Lo ammetto, l’idea di…
Questo progetto mi ha fatto impazzire dal primo minuto. Il gioco totale, quasi metafisico di Luis Enrique, il suo essere personaggio genuino e non convenzionale mi hanno intrigato quanto una lettura di Heidegger. E poi la filosofia della nuova Roma che non si lamenta mai dei torti arbitrali, non denigra l’avversario, si assume le proprie responsabilità e in pubblico difende i propri giocatori, l’ho vissuta come una autentica boccata d’ossigeno. Ma confesso che la coerenza non è il mio forte e che ora ho nostalgia di un po’ di sana normalità. Come quella che avremmo con De Rossi (Alberto) al posto di Luis Enrique.