A leggere le intercettazioni della banda arrestata per i fatti di Corinaldo, dove nel dicembre scorso morirono cinque ragazzi e una mamma in seguito ad un attacco di panico collettivo scatenato dalla presenza improvvisa in discoteca di quantitativi significativi di spray urticante, si resta interdetti.

I sei componenti della gang, più un possibile settimo uomo, erano soliti vivere di espedienti, praticando con assiduità furti nei luoghi di divertimento – discoteche in primis – profittando della calca e di precisi piani con precisi ruoli. L’età media del nucleo di punta si aggira attorno ai 21-22 anni e ciò che stupisce non è tanto la mente criminale che sovrintendeva le operazioni, quanto l’assenza completa di empatia, di compassione, per le vittime di quelle azioni.



Per anni si è parlato, e abbiamo più volte parlato, del nulla in cui i millennials sono stati educati dai loro genitori: l’assenza di un significato del vivere, la difesa a oltranza dei ragazzi a scapito della scuola o delle altre agenzie educative, lo sfociare di questa mentalità in sacche di riserva pronte per essere reclutate dal terrorismo fondamentalista, dalle devianze causate dalla noia o dalla criminalità. Quello di cui non si è mai sufficientemente parlato, tuttavia, è il fenomeno – oggi sociologicamente molto sottolineato dagli studi più recenti – del mix tra mentalità del nulla e assenza di interlocutori educativi sul territorio: i nostri ragazzi non solo vivono nel nulla, ma non incontrano nulla.



L’assenza di una proposta educativa non coincide con l’assenza di società sportive, associazioni, circoli ricreativi o strutture parrocchiali, ma coincide con l’assenza di una proposta capace di toccare, di disturbare, la vita dei ragazzi, fino a muoverla.

Il risultato è quella che viene definita la “bolla”: i ragazzi vivono in un universo autoreferenziale in cui non c’è né rapporto con l’adulto né rapporto con la realtà. Il loro immaginario non è occupato da qualche bel racconto o da testimoni di vita, bensì dalle narrazioni dei social o – ancor peggio – dei videogiochi in cui l’esistenza è rappresentata dalla necessità di raggiungere la ricchezza, la vittoria, eliminando l’altro dall’orizzonte della propria umanità.



Il risultato ultimo di tutto questo è l’assenza completa di dolore per il dolore dell’altro, è la mancanza di coscienza della realtà, è il venir meno della stessa esperienza che – è bene dirlo – non è lo sperimentare cose, quanto il giudicarle.

Una generazione senza adulti che la sfidino vaga nel nulla del nostro tempo, alla ricerca di un successo identificato con modalità di realizzazione violente e crudeli, senza volti che sappiano di nuovo disperdersi e perdere tempo nel rapporto informale – ma autentico – con ciascuno di loro.

E niente li può tenere al sicuro: né l’agio economico, né la scuola privata, né la mamma chioccia o il papà sindacalista, né le buone compagnie o il militare in una società sportiva. Il nulla è un nemico così forte che penetra dappertutto e che, in fondo, può essere arginato solo da uno sguardo di pura gratuità, di amicizia vera, di compassione. Tutto quello che è mancato nella triste notte della discoteca di Corinaldo.