MINNEAPOLIS – I libri di letteratura li ho sempre tenuti rigorosamente in ordine alfabetico per autore sugli scaffali della libreria. “M”, Cormac McCarthy. Blood Meridian, la “Border Trilogy” con The Crossing, Cities of the Plain e All the Pretty Horses, No Country for Old Men (Non è un paese per vecchi – magari avete visto il film), The Orchard Keeper, Outer Dark, The Road (anche questo diventato un celebre film)… Tutti in inglese, perché sono stati una “scoperta americana”. Mancano The Passenger e Stella Maris, gli ultimi due che non mi sono ancora procurato. Pubblicati a breve distanza l’uno dall’altro dopo sedici anni di silenzio. Ma soprattutto ultimi perché Cormac McCarthy se ne è andato proprio oggi, con i suoi libri ed i suoi quasi 90 anni.
Non scriverà più, ma i suoi romanzi non ce li toglie nessuno. Se non l’avete mai letto, cominciate a farlo, ma state in guardia, non sarà un leggere lieve. Sarà inevitabilmente greve. Mentre Trump dichiara – come sempre – la sua fanciullesca innocenza, l’America perde uno dei suoi narratori più grandi di sempre, uno dei più affascinanti, intensi, ma anche dei più crudi. Perché McCarthy nel raccontarci il dark side, il volto nero del suo Paese fatto di outsiders che sembrano conoscere solo la violenza, spesso ci travolge con la brutalità della sua narrazione.
La condizione umana che ci presenta in tutto il suo lavoro, in questi angoli dell’Appalachian South degli Stati Uniti, è sempre dolorosamente ed ineluttabilmente violenta. Come McCarthy stesso disse in una rarissima intervista al New York Times nel 1992 dopo il successo di All the Pretty Horses, un cupo western premiato con il National Book Award, “There’s no such thing as life without bloodshed”, non esiste vita senza spargimento di sangue. E nei suoi racconti ci parla sempre di un mondo in cui non c’è spazio per le favole a lieto fine, un mondo in cui o si vive o si muore. Male. Si vive e si muore male. Più spesso si muore, brutalmente e senza capirne il perché. Non sono un critico letterario, lascio a chi lo è l’interpretazione di questa tragicità. Sono solo un lettore rimasto catturato da queste storie che gridano senza voce il bisogno che qualcosa succeda, il bisogno di una vita redenta.
Cormac McCarthy non potrà più dirci che cosa veramente animasse il suo cuore. Avremmo voluto invitarlo al New York Encounter proprio per questo, per chiederglielo, ma non era tipo da farsi conoscere al di là dei suoi scritti. Ed i romanzi sono ciò che ci lascia dopo una vita spesa in solitudine, quasi un’auto-reclusione nel suo esilio di Santa Fe, New Mexico, dove ogni tanto veniva avvistato, senza lasciarsi mai avvicinare. Tre mogli, tre divorzi, due figli, impossibile da raggiungere, mai disposto a farsi vedere o sentire. Ed è lì, nel suo rifugio di Santa Fe, che se ne è andato. Finalmente senza violenza, senza spargimento di sangue.
God Bless America!
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