Il coronavirus è la prima emergenza salute a livello globale che irrompe nel terzo millennio e ovviamente pone interrogativi a tutto campo, che investono prevenzione e cura, ma il suo andamento interessa contestualmente il mondo della salute e il mondo dell’economia, con non poche implicazioni anche a livello politico internazionale.
Davanti ad una complessità globale che nasce in sanità ma attraversa in modo multi–dimensionale tutti gli altri aspetti della vita pubblica, la vera sfida per il decisore pubblico è identificare il punto di equilibrio: cosa è giusto fare; cosa conviene fare e come. La sfida è la tutela della salute pubblica che, come sempre, pone importanti problemi di etica pubblica, spesso inediti, dal momento che davanti all’attuale epidemia mancano farmaci specifici per chi si è già ammalato; mancano vaccini che agiscano a livello preventivo; mancano strutture efficaci per l’isolamento dei pazienti infetti; mancano criteri certi per capire i tempi di sopravvivenza del virus e quindi i tempi di latenza nel contagio.
L’impegno enorme che c’è stato in Cina per controllare un’epidemia velocissima nel diffondersi, sia pure dopo un’iniziale sottovalutazione del problema, ha reso immediatamente evidente per tutti gli altri Paesi come non fosse tempo per fare esperimenti, attendendo il maturare di studi e di risultati efficaci; occorreva intervenire subito per impedire al virus di penetrare nel Paese. Cosa facile da dire, ma oggettivamente molto difficile da realizzare.
Da settimane gli aggiornamenti quotidiani sul nuovo coronavirus (Sars-CoV-2) offrono numeri e statistiche sul numero di persone infette, sulle persone morte a causa della malattia (Covid-19) e sui pazienti guariti dimessi dagli ospedali. Ciò nonostante le autorità sanitarie non sono ancora riuscite a determinare con precisione il periodo di incubazione della malattia, cioè il tempo che intercorre tra il contagio e lo sviluppo dei primi sintomi. L’intervallo temporale massimo è stato collocato a due settimane, ma serviranno altri studi per delimitarlo con precisione e sulla base di questa incertezza si sono create due linee di pensiero.
C’è chi ha assunto i 14 giorni come vincolo quasi normativo per definire isolamento e precauzioni al massimo livello e chi invece ritiene questa soglia ancora troppo bassa per garantire sicurezza dal contagio.
Le cifre fornite ogni giorno sono importanti per le autorità sanitarie e gli epidemiologi, che devono valutare l’efficacia delle politiche di contenimento dei contagi, ma possono risultare fuorvianti per l’opinione pubblica, soprattutto se sono presentate con poche informazioni di contesto.
Il fatto è che la salute pubblica pone una complessità di interrogativi a livello mondiale che vanno ben oltre la gestione del caso singolo e che la stessa Oms fatica ad inquadrare, dal momento che deve parlare contemporaneamente molte lingue diverse a seconda del livello di conoscenze scientifiche che c’è in un Paese, della sua struttura organizzativa e delle sue disponibilità economiche; ma anche e soprattutto del livello culturale generale e della incisività dei pregiudizi che condizionano la pubblica opinione, in quel determinato Paese.
Il ministro della Salute Roberto Speranza ha diramato ieri una nuova ordinanza che prevede misure di isolamento quarantenario obbligatorio per i contatti stretti che le persone abbiano avuto con un caso risultato positivo; prevede anche una sorveglianza attiva con permanenza domiciliare fiduciaria per chi è stato nelle aree a rischio negli ultimi 14 giorni con obbligo di segnalazione da parte del soggetto interessato alle autorità sanitarie locali.
Ora però, la stessa permanenza domiciliare fiduciaria, indispensabile dal momento che non esistono strutture all’interno delle quali si possono isolare in forma sub-intensiva interi nuclei familiari, diventa un focus di infezione attiva, se qualcuno si ammala, e di contagio di prossimità. Il caso di Codogno, forse si tratta addirittura del paziente zero, è esemplare e ha coinvolto la moglie incinta, altri familiari stretti e lo stesso medico curante, che si è ammalato e probabilmente è diventato veicolo di trasmissione per altre persone. E, ovviamente, prima che la sua influenza da coronavirus diventasse evidente per tutti, ha avuto spazio e tempo per contagiare i colleghi di ufficio. L’isolamento, anche quello fiduciario, scatta nel momento del sospetto, ma è proprio l’incubazione non sospetta il tempo di maggiore rischio, su cui le autorità, né quelle sanitarie né quelle politiche, possono fare alcunché.
La comunicazione di questi giorni, soprattutto quella televisiva, ha assunto un carattere di tam tam ininterrotto che, mentre dava un bollettino drammatico della situazione in Cina, enfatizzava la sicurezza e l’efficacia delle misure prese in Italia. Fino a venerdì l’Italia sembrava graziata dai rischi di un’epidemia vera e propria e questo meccanismo di rassicurazione collettiva caratterizzava tutte le comunicazioni ufficiali riconducibili ad uno slogan ripetuto come un mantra in ogni telegiornale, su ogni canale, a qualsiasi orario. Ovvero: in Cina la situazione è grave, ma stanno lavorando per contenerla: è vero, ci sono stati quasi 2mila morti, ma il numero di nuovi casi va calando, il rischio è sotto controllo. In Italia invece va tutto bene: tutto sotto controllo; ok le misure preventive; ok i tavoli di lavoro e di monitoraggio. A tutti gli italiani un solo grande consiglio: lavatevi prima di tutto le mani. Unica carenza dichiarata quella delle mascherine. Semplici i consigli, anche se troppo spesso proprio la semplicità delle indicazioni può indurre a prenderle sotto gamba.
Alla fine però anche in Italia l’epidemia del coronavirus è arrivata e sta muovendo velocemente i suoi passi concreti. Dopo una serie di proclami ufficiali, rilanciati a livello politico, con elogi a volte sovradimensionati rispetto agli effettivi risultati scientifici, abbiamo scoperto che quando l’epidemia è globale, e questa indubbiamente lo è!, allora l’onda lunga del virus arriverà, anche se sembra tardare ad arrivare.
Dopo le misure di stretta sorveglianza negli aeroporti, soprattutto per gli aerei provenienti dalla Cina, dopo l’allarme lanciato sulle grandi navi da crociera, ci siamo ricordati che le stazioni dei treni, degli autobus, e tutti ma proprio tutti i luoghi di passaggio, erano una comoda via di trasmissione per il virus. Abbiamo chiuso le scuole, ma i grandi centri commerciali, a cominciare dai supermercati, restavano aperti; aziende e fabbriche, uffici pubblici, per non parlare degli stadi e di tutti gli impianti sportivi: tutti aperti e pronti a fare da incubatoio al virus.
La prevenzione assoluta è impossibile, nonostante l’isolamento dei pazienti malati o semplicemente sospettati di esserlo. Tutte le sere dallo Spallanzani sentivamo notizie del giovane ricercatore italiano e ci rallegravamo del commento che arrivava puntualmente dopo il bollettino medico: il paziente è di ottimo umore. Dalla Cecchignola, la cittadella militare di Roma, arrivavano notizie dettagliate sul come stessero e cosa facessero gli ospiti in isolamento preventivo e Roma sembrava praticamente blindata. Ma il nemico, tutt’altro che sconfitto, era in agguato in una zona totalmente diversa: la sana e ricca provincia lombarda.
Di fatti a meno di 24 ore dal paziente 1, sono saliti a 20 i casi di coronavirus confermati in Lombardia, tra questi ben 5 operatori sanitari dell’ospedale di Codogno che hanno avuto un contatto diretto con il primo italiano infettato senza essere stato in Cina e tre pazienti del nosocomio lodigiano, a questi casi nella serata di ieri se ne sono aggiunti altri, nonostante le misure di prevenzione. E al Sacco, famoso ospedale per infettivi di Milano, è scattato l’allarme con i primi ricoveri da coronavirus. E mentre venerdì eravamo tutti preoccupati per la Lombardia, in Veneto c’è stato il primo morto, un uomo di 78 anni, deceduto venerdì sera poco dopo le 22.45 all’ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova. Ieri è arrivata la notizia del secondo, una donna anziana residente a Casalpusterlengo.
Ogni giorno viene diffuso un nuovo bilancio sul numero di malati e di deceduti a causa della Covid–19, ma non sempre i giornali e gli altri media forniscono informazioni di contesto sufficienti per orientarsi e farsi un’idea. Ma la cosa fondamentale è precisare con quali criteri si classificano i casi sospetti, i portatori sani, i portatori infetti, i malati veri e propri. La scorsa settimana, per esempio, le autorità sanitarie della provincia di Hubei – il cui capoluogo è Wuhan, l’epicentro della crisi – hanno rivisto il modo di indicare le persone infette da nuovo coronavirus, includendo gli individui che mostrano sintomi da Covid–19, anche se non sono ancora stati sottoposti ai test di laboratorio per accertare la presenza del virus. Di conseguenza, in 24 ore il numero di nuovi casi giornalieri è aumentato di 9 volte circa, portando a un certo sensazionalismo da parte dei media. Diversi giornali avevano titolato sul fatto che il numero di contagiati fosse aumentato enormemente in appena un giorno, senza premurarsi di spiegare da subito che l’incremento fosse dovuto a una modifica nel modo di fare i calcoli.
Oggi per noi è essenziale sapere come stanno esattamente la cose, senza inutili rassicurazioni, ma anche senza indebiti allarmismi, come capitò al medico che per primo denunciò la nuova epidemia e che fu accusato di attentare alla pace pubblica. Gli italiani hanno diritto a sapere come stanno le cose e i mezzi di informazione pubblica hanno il dovere di informare correttamente precisando i criteri seguiti.
Il ministro Speranza, annunciando una serie di sospensioni a raffica per manifestazioni pubbliche, ludiche e sportive, attività commerciali e lavorative e scuole in dieci comuni della zona, ha affermato: “Sono misure molto forti ma ci sono tutte le condizioni per gestire al meglio questa emergenza… Il nostro obiettivo è circoscrivere un’area geografica e fare in modo che trattenga il virus”. Secondo il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, le nostre misure sono tra le più avanzate al mondo, ma per garantire la migliore assistenza alle persone è necessario adottare misure di massima precauzione per bloccare e limitare la circolazione del virus e per questo sul sito dell’Istituto c’è un decalogo chiaro e semplice per attuare una prevenzione efficace.
Al ministero della Salute è attivo un tavolo di lavoro presieduto dallo stesso ministro, con la stretta collaborazione del capo dipartimento della Protezione civile Angelo Borrelli, aperto 24 ore su 24 per monitorare in tempo reale la situazione, in modo da poter intervenire in maniera tempestiva modulando le azioni da intraprendere sul territorio.