I numeri relativi alla diffusione del Coronavirus in Italia sarebbero molto più alti e preoccupanti rispetto a quelli rivelati sino ad oggi: è quanto sostiene, sulle colonne de “Il Corriere della Sera”, il professor Andrea Crisanti, virologo e consulente della Regione Veneto. Le sue dichiarazioni stanno letteralmente facendo il giro del web e, considerato il loro contenuto, non potrebbe essere altrimenti. “Non riesco a spiegarmi – ha asserito – come sia stato possibile sottovalutare le dimensioni dell’emergenza, quando erano sotto gli occhi di tutti: in Lombardia i malati saranno almeno 250mila, di cui 150mila sintomatici e 100mila asintomatici, mentre in Italia ne calcolo 450mila… Altro che 60mila!“. Del resto – non è un mistero – anche il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, ha confessato nelle scorse ore che per ciascun caso positivo ce ne possono benissimo essere dieci non censiti e, di conseguenza, il totale dei pazienti affetti da Covid-19 potrebbe essere di gran lunga superiore a quello ufficialmente riscontrato fino a questo momento.
CORONAVIRUS, IL VIROLOGO CRISANTI: “I POLITICI HANNO FALLITO”
In qualità di consulente della Regione Veneto, il professor Andrea Crisanti ha suggerito al governatore Luca Zaia di fare i tamponi anche a coloro che non presentavano sintomi: una decisione che ha pagato e che, a detta del virologo, avrebbe dovuto essere emulata dalla nazione intera. “Penso che sia la soluzione migliore – ha affermato a ‘Il Corriere della Sera’ –. C’è molta gente che accusa sintomi non gravi e potrebbe essere positiva. Occorrerebbe però cercare anche fra gli asintomatici, testando le categorie più esposte, per cerchi concentrici. Questo avrebbero dovuto farlo già venti giorni fa, invece non c’è stata alcuna sorveglianza epidemiologica. Vedo persone che muoiono a grappoli. Questo è un fallimento della classe dirigente del Paese“. Secondo il professor Crisanti sarebbe stato sufficiente concentrare le risorse a disposizione sui focolai iniziali, sulla falsa riga di quanto accaduto in Corea del Sud, Taiwan e Giappone, e chiudere le industrie attive e impegnate con migliaia di dipendenti nella produzione di beni non di prima necessità.