“Neanche in Brasile, dove di epidemie ne scoppiavano tante e andavo in giro nei lebbrosari, ho visto una cosa come questa”. Fra Aquilino Apassiti, cappuccino, 84 anni e un tumore al pancreas (“Sono forte, il Signore mi ha fatto così” dice), da circa cinque anni è tornato da un lungo periodo in Brasile, dove ha conosciuto personaggi come Luigi Santucci, Marcello Candia, il pittore Messina: “Ho assistito a tante agonie vissute con una fede meravigliosa. Ho imparato che il dolore è prezioso”. Da circa cinque anni è tornato a Bergamo, lui nativo di Dalmine, e non si ferma nonostante l’età. Adesso assiste, per quanto possibile, i malati di coronavirus che a Bergamo sono tantissimi, il focolaio più esplosivo d’Italia. “Sono morti anche sei sacerdoti in provincia di Bergamo, uno era del mio paese, di Dalmine. Molti altri sono in terapia. Anche questa è una cosa terribile, la difficoltà di fornire un servizio spirituale alla gente. Ma siamo sicuri, grazie al coro di preghiere che si sta alzando da tanta gente in questi giorni, che il Signore ci ascolta e ci risponderà”.



Lei cerca, per quanto è consentito, di assistere i malati di cororonavirus. Ci può raccontare quello che sta vivendo?

Vedo un personale medico che, pur conoscendo i rischi cui va incontro, adempie a un servizio stupendo di assistenza anche in terapia intensiva. Rimango senza parole. È una solidarietà tra medici e infermieri davvero bella.



A Bergamo e provincia sono morti sei sacerdoti. Il vescovo ha invitato gli operatori sanitari che vogliono a benedire chi sta soffrendo ed è vicino alla morte, è così?

Sì, ogni cristiano se è battezzato lo può fare. È una delle tante cose che stiamo riscoprendo in questo periodo. Uno di questi sacerdoti era del mio paese, di Dalmine, dava una mano a don Claudio e a don Beppe: l’altra notte è morto. Questa è una grande tragedia, l’accompagnamento spirituale nelle parrocchie in questo momento viene a mancare, questa sofferenza ci mette alla prova. 

Si vive anche il dramma dei malati che muoiono da soli perché nessuno può avvicinarsi per paura del contagio…



Sì, è terribile. Mi chiamano i figli delle persone defunte, noi non possiamo neanche andare a benedirle, e allora mettono il telefono sulla salma, io chiamo e dico, sono qui per pregare per il vostro caro, il Signore dal cielo vi dia tanta forza, bisogna continuare per vincere.

È una prova terribile. Come reagiscono i parenti?

È un dolore nel dolore non poter stare vicini, partecipare al distacco repentino del proprio caro, perché la malattia funziona così: si muore all’improvviso, in poco tempo. Ma resto colpito dal modo con cui queste persone reagiscono: non ho visto nessun diverbio, nessuna protesta, è chiaro a tutti che pur nella disperazione è il momento di osservare le regole.

Lei che è stato in Brasile tanti anni ha mai visto una situazione analoga?

No, mai avrei pensato di dover attraversare una tale esperienza di emergenza come questa. Qui è peggio che in Brasile, non c’è confronto. Anche laggiù scoppiano epidemie, ma non così serie e in grado di colpire così tante persone in poco tempo. Andavo a trovare i malati anche nei lebbrosari ai tempi del dottor Candia, ma là adesso è tutto sotto controllo.

Nel ricco e tecnologico Occidente nessuno si aspettava una cosa del genere?

No, nessuno. Adesso però non creiamo panico, la grande forza di Dio non può lasciarci. E il coro di preghiere che si sta alzando ovunque ci permetterà di ottenere forza, di rialzarci e di riacquistare la salute.

(Paolo Vites)

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