Ma non dovevamo stare in silenzio? Non dovevamo chiuderci in casa, serrare i garage, isolarci dal resto mondo? Cessata l’attività in quasi tutti i negozi e nei bar, pasticcerie, ristoranti e teatri, musei, cinema, scuole e palestre, mandati in vacanza forzata operai ed impiegati, non dovevamo far calare il chiacchiericcio solito che fa da inestirpabile sottofondo alle nostre frenetiche città, giorno e notte? Non doveva essere la logica conseguenza al repentino, quanto drastico cambio di comportamenti nella nostra vita quotidiana?
No, invece no. Perennemente accesi radio e tv perché vogliamo tenerci aggiornati ad ogni istante delle mosse del nemico invisibile che circola nell’aria, collegati in continuo con cellulari, tablet e computer vuoi per studio o lavoro, vuoi per divertimento, travolti dallo tsunami di mail e di whatsapp di chi cerca il modo di far lezione online, ma non sa da che parte si comincia, il chiacchiericcio corre veloce e massiccio nell’etere e lungo la fibra ottica.
Peccato. Davvero. L’ora strana, spesso drammatica che ci è data poteva essere l’occasione giusta, imprevista e imprevedibile, per fare silenzio. Ritrovare noi stessi, chiederci chi siamo, che fragile mondo abbiamo costruito, se davvero possiamo essere sicuri di noi stessi dal momento che un giorno ci sentiamo padroni dell’universo e il giorno appresso, complice quel famoso nemico invisibile, non lo siamo nemmeno dei capelli che abbiamo in testa.
“Mi lasci dire! Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso… Lei passa per via; un altro passante, all’improvviso, la ferma e, cauto, con due dita protese le dice: – Scusi, permette? Lei, egregio signore, ci ha la morte addosso. E con quelle due dita protese, la piglia e butta via… Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di questi insetti schifosi. Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l’hanno addosso; nessuno la vede; ed essi pensano quieti e tranquilli a ciò che faranno domani e doman l’altro”. Così Pirandello nel suo celebre Uomo dal fiore in bocca. Ora, dal momento che nessuno di noi conosce la propria sorte, prendiamoci il gusto di far “sbadigliare una finestra” (Domenico Modugno e il suo “Uomo in frac”, ricordate?) una di queste mattine di primavera. Qualcuno avrà un giardino di proprietà, qualcuno un parco addirittura. Guardatevi intorno: ci sono certi ciliegi già fioriti, certe forsizie lungo le siepi, certe magnolie e camelie e primule, margherite, pervinche e fiorellini di prato che incantano gli occhi. L’assenza di gas di scarico torna a farci assaporare i profumi delle viole e il canto degli uccelli.
Strana, questa primavera così precoce proprio nell’anno del coprifuoco! Pare quasi che la natura si sia risvegliata prima del tempo proprio per questo motivo: per dirci che sì, “andrà tutto bene”, ma solo perché nulla va perduto e la vita rinasce, ingenua e caparbia al tempo stesso, dà senso al nostro vivere e morire, testimone di un “oltre” che travalica il tempo nostro e anche se non a tutti “andrà bene”. Ma per farlo dobbiamo sospendere le parole: anche il silenzio può essere una buona medicina contro il coronavirus.