Caro direttore,
ho imparato a mie spese nella vita il valore della verità. La verità ci purifica, ci libera, ci restituisce al mondo più disarmati e per questo – paradossalmente – più autorevoli e più forti.
Le scrivo perché sento nell’aria un profondo bisogno di verità: la chiedono le famiglie, incerte nel guardare al futuro, la chiedono i giovani, angosciati da una situazione che all’inizio avevano sottovalutato, la chiedono gli anziani, spaventati e ancora incapaci di comprendere a quale livello si collochi la minaccia che stiamo vivendo, e – da quel che avverto – in fondo la chiedono anche i cristiani, sotterraneamente divisi tra coloro che scorgono l’abisso che si è aperto e coloro che, al contrario, pensano a un possibile intervento divino come risolutivo per tutta l’emergenza, abbarbicati a diatribe sul modo di svolgere i sacri riti e sulla libertà di culto che sono già state ampiamente superate dalla tragicità degli eventi.
Credo dunque che occorra raccontare, senza equivoci, che quello che è iniziato è un tempo lungo: non è possibile pensare davvero di debellare il morbo che ci ha colpiti senza ipotizzare che le misure adottate, seppur con gradazioni diverse, ci accompagnino almeno fino all’estate. Non lo dico io, non lo dice lo Stato, lo dice la realtà testimoniata dalla curva dei casi ancora in crescita in Italia e da quanto sta accadendo in Cina, dove una certa libertà di movimento sarà ripristinata a Wuhan l’8 aprile, tre mesi dopo l’esplodere della pandemia nel paese.
Quest’amara verità ha delle conseguenze molto concrete per la comunità cristiana che ancora rappresenta la maggioranza del nostro paese: quest’anno non ci saranno Cresime, Prime Confessioni o Prime Comunioni prima dell’autunno, come non ci potranno essere – prima di quel periodo – battesimi o matrimoni a porte aperte e – anche per le celebrazioni a porte chiuse – occorrerà attendere il via libera delle autorità, mettendo in conto fin da adesso che ci saranno misure di protezione individuale e di distanziamento sociale che renderanno il tutto molto contingentato e in qualche misura austero.
È importante che la consapevolezza di queste realtà non diventi per le persone coinvolte motivo di abbattimento, ma spazio in cui chiedersi con ancora maggior forza perché ciascuno sceglie di accogliere nella propria vita il dono di un sacramento: per la festa che ne deriva? Per i regali? Per i fiori? Per il fotografo?
Forse quello che sta accadendo può riaprire nel nostro cuore non tanto l’aspettativa di qualcosa, quanto l’attesa di Qualcuno che in quel segno celebrato ci raggiunge e ci dona il Suo amore e la Sua Presenza.
Chiaramente quanto detto comporta automaticamente altre verità difficili da accettare, ma ugualmente da condividere a mio parere con tutto il popolo: non sappiamo infatti quando, e in che forma, potremo riprendere a celebrare la Messa in presenza della nostra gente.
La domenica è dunque consegnata in mano alle famiglie, lo stesso Triduo Pasquale è totalmente nelle nostre mani; a questo proposito corre alla mente il libro dell’Esodo, dove si racconta che la Pasqua fosse una festa anzitutto per la famiglia: i bambini si avvicinavano ai più grandi e chiedevano perché si facessero quei segni così particolari e quella domanda, secondo il capitolo 26 del Deuteronomio, diventava occasione per raccontare, ciascuno nella propria casa, la fede dei padri.
Oggi non siamo lasciati soli in questo compito: numerosi mezzi di comunicazione ci accompagnano e ci aiutano, ma è ancora più evidente che, se la celebrazione della domenica o la partecipazione al Triduo non è una scelta della famiglia, a poco vale che i bambini siano inviati al catechismo o alle altre attività parrocchiali, smascherando l’ipocrisia con la quale molto spesso guardiamo alla Chiesa come a un insieme di servizi e non come a una Comunità di Grazia.
Lo stesso catechismo, per quest’anno, è dunque da intendersi concluso: certo permangono non pochi esperimenti di incontro e di condivisione online, ma nessuno di questi momenti può sostituire il bisogno che abbiamo della relazione fisica che rende la trasmissione della fede qualcosa di concreto e non meramente intellettuale. Una parola, poi, occorrerebbe dirla sui campi o sulle vacanzine estive che si fanno nelle parrocchie: nessuno sa se e in che forme si potranno organizzare e forse questo ci riconsegna il tempo libero, il tempo dell’estate, come un tempo in cui sognare e condividere forme nuove di compagnia e di evangelizzazione.
È inutile infatti nasconderci che esiste un prima e un dopo questa epidemia, che il mondo di prima è passato, ma che Egli – il Signore – sta già facendo in mezzo a noi, proprio sotto ai nostri occhi, cose nuove.
Un’ultima parola, non scontata, occorrerebbe, infine, condividere con tutti coloro che sono in forte difficoltà psicologica, tra cui vedo tutti i giorni i giovani, impreparati a stare di fronte a uno stress così prolungato e significativo: in questo tempo è giusto piangere, si può piangere, ci si deve anche permettere di lamentarsi e piangere. Se il numero dei morti e dei contagiati ogni giorno ci riconduce alle realtà più imponenti dell’esistenza che rendono poca cosa le nostre quisquilie, non possiamo dimenticarci di quello che nel nostro piccolo cuore accade: senza esagerare, senza minimizzare, senza negare, senza giustificare, ma ammettendolo e considerandolo.
È questa un’ora in cui possiamo permetterci dunque di avere paura e un’ora in cui, altrettanto cautamente, possiamo vedere che cosa possa portarci fuori da questa paura: certamente le parole degli uomini, certamente le misure di contenimento adottate, ma ancor di più – dentro la fame d’aria che caratterizza questo orrendo morbo – la sete e il desiderio di vita che, più passa i giorni, più riemerge dalle tenebre dove lo avevamo ricacciato, strappandoci dal nulla in cui questa malattia vorrebbe vederci sprofondare e rendendoci consapevoli di come quel desiderio così grande, che muove tutto, fosse stato in realtà ricoperto da piccoli desideri, illusori e anticamera di ogni capriccio.
Sarà interessante verificare come ciascuno scoprirà che a quel desiderio di vita, finalmente ridestato, possa rispondere solo l’amore di Cristo, l’unico che è capace di darci vita e libertà anche in questo frangente così spiazzante della nostra esistenza: quotidianamente, infatti, la Sua misericordia ci raggiunge con una telefonata, con una carezza inattesa, con un messaggino sul cellulare, con un momento di autentico silenzio o di autentica preghiera.
Il Signore non ci abbandona e ci aiuta a vivere tutto questo come giorni di una Grazia misteriosa, giorni in cui ripensare a quanto abbiamo vissuto, scelto, voluto fino ad ora, offrendoci l’occasione di riorientare la nostra esistenza per tornare a discernere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo.
Occorre già fin da adesso, infatti, che non si spenga fra noi la fiamma della carità, quella fiamma che sola potrà alimentare la ricostruzione del nostro paese nello stile della condivisione e della comunione che ci rafforzano anche dopo le più estenuanti avversità. Nell’attesa ultima di quell’abbraccio fisico dell’altro di cui tutti noi, in questi giorni, abbiamo già nostalgia e che sarà per tutti la più grande delle feste.