Ufficialmente il primo caso di Covid-19 registrato in Argentina risale al 4 marzo scorso, con un passeggero di un volo proveniente dall’Italia, ma già da febbraio il “pauravirus” aveva infettato il Paese, dove era impossibile trovare una mascherina nelle farmacie. Ora i casi registrati sono 41 (di cui 2 morti), ma, fortunatamente, sono tutti di importazione (cioè passeggeri di voli arrivati dall’Europa) e si deve ancora registrare un caso autoctono, quindi senza collegamento con quelli importati.



Forse il fenomeno potrebbe svilupparsi al rallentatore a causa del caldo, ma già i telegiornali hanno iniziato il bombardamento mediatico sulla situazione che tutti sperano ardentemente possa retrocedere (a livello mondiale) prima dell’arrivo dell’inverno, anche perché se così non fosse i problemi sarebbero veramente insormontabili.



In primis, perché il Paese non dispone di strutture mediche in grado di combattere un eventuale avanzamento esponenziale della malattia, visto che gli ospedali di eccellenza ci sono ma non hanno molti posti disponibili, poi perché il Covid-19 a quel punto darebbe la mazzata finale a un’economia che già sente odore del “default” di uno Stato che, dopo gli incontri con i delegati del Fmi, ha scoperto che i bonisti non sono “buonisti” e quindi disposti a fare sconti sul debito che il Paese deve saldare nei confronti dei detentori dei nuovi “tango Bond” che rischiano di fare la stessa fine di quelli del tragico dicembre del 2001.



Oltretutto lo stesso Fmi non pare disposto a fare dilazioni enormi su questo debito, per cui in molti, oltre a toccare ferro, stanno pregando i santi per far sì che il coronavirus rimanga distante dalle pampas.

Ma bisogna dire che, nella migliore tradizione, dopo che i casi importati hanno iniziato a moltiplicarsi, l’attuale Governo, invece di approfittare dell’esperienza italiana e chiudere tutto il più presto possibile (tattica che al momento pare essere quella vincente vista la velocità supersonica di propagazione del virus) ha iniziato a copiarne gli errori e di fatto si è mosso per un certo tempo in maniera brancaleonesca, dimostrando che i suoi vertici sono fatti da altrettanti dilettanti e prendendo decisioni senza poi controllarne lo svolgimento.

Inizialmente sono stati controllati i voli provenienti dall’Italia, lasciando campo aperto ai transiti, poi si è scoperto che la dichiarazione di responsabilità che veniva fatta compilare a bordo, una volta arrivati all’aeroporto internazionale di Ezeiza di Buenos Aires, non si sapeva dove consegnarla, perché mancavano gli addetti al ritiro. Quindi si è assistito a una terza fase nella quale si è rasentato il comico: mentre il ministro della Salute (sic) Ginès Gonzales Garcia si dichiarava stupito della velocità di propagazione del virus (quasi non disponesse di informazioni al riguardo), le falle negli aeroporti aumentavano a dismisura e alcune Province prendevano decisioni di forma autonoma nel classico della mano destra che non sa quello che fa la sinistra.

Fino ad arrivare, giovedì scorso, alla drastica decisione di chiudere lo spazio aereo ai voli provenienti sia dall’Europa che dagli Usa, con un bel po’ di ritardo. Decisione immediata, da mettere in pratica subito, tranne poi chiudere i voli a partire da martedì prossimo… no, pardon, esclusi i voli di Aerolineas Argentinas dedicati al rimpatrio dei 4.000 connazionali che ancora sono all’estero.

Insomma, mentre iniziano pure qui gli assalti ai supermercati, per paura di non trovare più cibo, solo ora si prendono provvedimenti come quello di sospendere manifestazioni di massa (in gran parte concerti pop), chiudere scuole e università e proibire l’entrata al Paese, per 30 giorni, a chi provenga da zone affette dal Covid-19. Ma visto che la malattia ha un’incubazione di 14 giorni asintomatica, il tutto si trasforma in un vero e proprio terno al lotto visto che si sono in pratica persi 15 giorni in un pericoloso tentennamento e soluzioni dichiarate ma non attuate profondamente.

Nel frattempo le vedettes dello spettacolo argentino si dichiarano in pericolo di contagio e queste sceneggiate con tanto di mascherina protettiva (che non serve a un tubo) occupano larghi spazi televisivi e aprono dibattiti inutili. E anche se in molti telegiornali vengono diffuse le norme di comportamento per combattere il virus, la sensazione è quella della speranza che qualche Santo non faccia precipitare la situazione, perché in quel caso pioverebbe sul bagnato di un Paese già finanziariamente sul bordo del lastrico.

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