RIO DE JANEIRO – Giovedì 24 aprile il Brasile riportava il record di morti per il coronavirus e i telegiornali di tutto il mondo mostravano le fosse comuni di Manaus. Sono due mezze verità: il giorno prima era festa nazionale e c’erano stati ritardi nella trasmissione dei dati, anche al Cimitero Monumentale di Milano usano gli stessi metodi, e in tempi assolutamente normali. Per una volta, però, due mezze verità ne fanno una intera: l’epidemia in Brasile sta accelerando e il sistema sanitario è sotto stress.



Con sincronismo perfetto, quello stesso giorno Bolsonaro depone Maurício Valeixo, capo della Fbi brasiliana. È nelle sue prerogative, ma tradizionalmente è una decisione che spetta al ministro dell’Interno. Sergio Moro, il ministro che a capo dell’indagine “Lava Jato” è diventato il simbolo della lotta alla corruzione, si dimette.



Si apre una nuova, gravissima, crisi di governo.

Nella conferenza stampa di uscita Moro accusa esplicitamente Bolsonaro di voler interferire con la Polícia Federal. Dalle sue dichiarazioni si deducono cinque reati, dal falso ideologico all’intralcio all’attività giudiziaria. Afferma anche di non aver firmato l’atto che depone Valeixo, al contrario di quanto riportato nella Gazzetta ufficiale, che successivamente pubblica una versione corretta.

Per la prima volta Bolsonaro perde consensi su Twitter e sulle altre reti sociali, mentre la Borsa scende del 5% e il dollaro sale a 5,71 real (un anno fa era a 3,75).



Una settimana prima Bolsonaro aveva licenziato il ministro della Salute, Luiz Henrique Mandetta, sostenitore delle chiusure e divenuto popolarissimo nel paese. Pochi giorni dopo aveva presenziato a una manifestazione contro il presidente della Camera, nella piazza di fronte al quartier generale dell’Esercito. Dai cinquantenni in su, tutti in Brasile hanno conosciuto la dittatura militare e in quel luogo sarebbero preoccupanti anche le parole del Cantico delle Creature. Il presidente si è “limitato” a ricordare che “tutti devono capire che sono sottomessi alla volontà del popolo brasiliano”, volontà che – evidentemente – è impersonata da lui e non dalla “vecchia politica”.

Alle accuse di Moro Bolsonaro risponde con una dichiarazione pubblica di 45 minuti, pronunciata a braccio. Nega le interferenze con la polizia e accusa Moro di essersi dimesso per non aver ottenuto in cambio la nomina alla Corte suprema. In modo un po’ contraddittorio Bolsonaro si lamenta di come sono stati condotti i casi in cui è coinvolto, primo fra tutti quello del suo accoltellamento in campagna elettorale. Di fatto si autoaccusa, dicendo di avere i verbali di interrogatori di indagini su suo figlio (lo chiama “numero 4” e un po’ si vanta del fatto che è uscito con metà delle ragazze del condominio). Tutto il discorso ha un tono confuso: vi rientrano il riscaldamento della piscina del palazzo presidenziale, le spese della carta di credito di servizio, i report dell’intelligence che riceve (legittimamente, essendo sotto l’Esecutivo), i tassametri e gli autovelox.

Dietro a Bolsonaro ci sono tutti i ministri. Paulo Guedes, il superministro dell’Economia, è l’unico con la mascherina. Curiosamente, è senza scarpe. Non se ne è ancora compreso il motivo, ma il distacco con il resto del gruppo è evidente. Lo danno come il prossimo ministro in uscita, contrario allo statalismo degli interventi per il recupero dell’economia presentati dal Governo.

Si stanno avanzando molte ipotesi su Bolsonaro. Quali che siano, un capo di Stato ha il compito di far attraversare questa crisi al paese con meno danni possibili. E in questo sta fallendo.

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