Che cosa succede a Castiglione d’Adda? C’è un mistero del coronavirus che incuriosisce gli studiosi: nessun infettato, nessun ricoverato. Poi, per puro caso, grazie a una raccolta di sangue effettuata in paese proprio per questo motivo, la sorpresa: su 60 cittadini esaminati ben 40 sono risultati positivi al virus, pur se non ne erano coscienti. Nessun sintomo, nessuna malattia. Sono tutti asintomatici: entrati in contatto con la malattia, non l’hanno sviluppata. Non solo: hanno anche prodotto anticorpi, come se fossero stati vaccinati. Ne abbiamo parlato con Margherita Longo, che si occupa di microbiologia clinica, virologia e diagnostica per le bioemergenze all’Ospedale Sacco di Milano.
Come si spiega quanto accaduto a Castiglione d’Adda? Come mai tutti nello stesso paese? C’è qualcosa che sfugge?
Possiamo dire con certezza che molti aspetti di questa pandemia sono ancora poco chiari, come ha fatto presente più volte il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Sappiamo però dall’esperienza fatta in queste settimane che molte persone hanno contratto l’infezione in modo asintomatico, cioè silente, o paucisintomatico, con pochi disturbi e a volte di scarsa entità. Per questo motivo è molto difficile pensare a uno screening di massa, anche se alcuni l’hanno invocato per gli abitanti di zone circoscritte, come per esempio questa località, che è stata tra le prime a essere coinvolta dai casi di Sars Cov-2 a fine febbraio. Altri, come ben sappiamo, hanno sviluppato una malattia di entità molto seria, e di questi purtroppo molti sono deceduti.
Si può dire che a Castiglione d’Adda le ordinanze di isolamento siano state rispettate con particolare attenzione?
Sicuramente il distanziamento fisico è stata la misura più importante messa in atto in un momento in cui la diffusione del virus era già avvenuta, forse da settimane. Abbiamo inoltre imparato da quanto è accaduto che si tratta di un virus essenzialmente a trasmissione respiratoria, e ciò spiega perché ci siano stati all’inizio focolai circoscritti, e con elevato grado di contagiosità; purtroppo le strutture di Pronto soccorso hanno funzionato all’inizio come trasmettitori dell’infezione, spiegando tra l’altro la numerosità dei casi tra gli operatori sanitari.
Queste persone hanno sviluppato gli anticorpi come fossero vaccinati. Questo succede normalmente nei casi di virus influenzali?
Ricordiamo che il coronavirus in oggetto non è un virus influenzale, anche se alcuni sintomi possono essere simili a quelli che si presentano in corso d’influenza, ma come per tutte le infezioni batteriche e virali chi contrae la malattia e la supera, come anche chi viene vaccinato – ma ricordiamo che per il virus in questione ancora non esiste un vaccino -, si producono anticorpi in risposta al contatto con l’agente microbiologico. La questione dei test sierologici, cioè la ricerca degli anticorpi anti Sars Cov-2 sviluppati in chi ha contratto la malattia, è dal mio punto di vista, quello microbiologico, molto delicata e ancora in fase di valutazione, come peraltro segnalato anche dall’Amcli, l’Associazione microbiologi clinici italiani.
Studiando i loro anticorpi si può arrivare a un possibile vaccino?
La produzione e immissione di un vaccino per la protezione dall’infezione da Sars Cov-2 richiede un processo di studio e di sperimentazione che si basa soprattutto sulla conoscenza e composizione del virus, più che sulle caratteristiche del siero di pazienti che hanno prodotto anticorpi in risposta alla malattia.
Le 40 persone positive sono adesso in quarantena, ma fino a pochi giorni fa potevano circolare e andare al lavoro. Hanno fatto il tampone e risultava negativo, ma nel frattempo possono avere sviluppato il virus ed essere diventati portatori sani. Possiamo essere tutti dei portatori sani senza saperlo? E il tampone, fatto una volta sola, non è evidentemente sufficiente? Andrebbe effettuato più volte?
Il problema è proprio questo: c’è la possibilità di trasmettere l’infezione anche a partire da 4 giorni prima dell’inizio dei sintomi, nella fase cosiddetta d’incubazione, oltre che nei giorni successivi, quando la persona presenta chiari sintomi d’infezione. La ricerca del genoma del virus con metodica biomolecolare PCR, eseguita su tampone, rimane al momento il test diagnostico fondamentale e di riferimento, anche se si possono avere dei falsi negativi, dovuti per esempio a un prelievo (tampone rinofaringeo) non eseguito in maniera del tutto corretta o a una carica virale molto bassa. Certamente i casi di pazienti con clinica suggestiva per Sars Cov-2 sono sottoposti anche più volte all’esecuzione del tampone rinofaringeo, che a volte si positivizza successivamente. Le richieste di tampone vanno comunque valutate dal clinico.
All’ospedale di Manerbio, nel Bresciano, si sta testando su alcuni pazienti il plasma ricco di anticorpi di chi è guarito. È la strada giusta?
Non sono in grado di dare un giudizio su quanto è tuttora in fase di studio da parte della comunità scientifica, ma il presupposto c’è, in quanto per diverse altre infezioni, virali e batteriche, si utilizzano le immunoglobuline, cioè gli anticorpi prodotti in risposta a un’infezione. Pensiamo, ad esempio, alle immunoglobuline per il morbillo, somministrate alle pazienti gravide prive di anticorpi nel caso di un’infezione in atto o recente, oppure alle immunoglobuline per il tetano, nei casi di ferite sospette in pazienti privi di certificazione vaccinale contro il tetano.