In Cina è finita “la pestilenza”, come la chiama Francesco Sisci, sinologo, ex editorialista de Il Sole 24 Ore, già corrispondente de La Stampa a Pechino. A Wuhan, primo focolaio del coronavirus, non si muore più e addirittura Pechino ci sta inviando materiale sanitario per aiutarci. Una vittoria costata cara e che, spiega Sisci, comporterà nel prossimo futuro una serie di cambiamenti sociali nei vari paesi a loro volta colpiti e sommovimenti internazionali: “Il virus è solo la punta dell’iceberg. Le Borse crollano, le economie vanno in crisi per l’emergenza, paesi come Russia, Turchia e Arabia Saudita si scontrano sul prezzo del petrolio, la Cina stessa dovrebbe cambiare per adeguarsi alle dinamiche della globalizzazione. Lo farà? E che cosa succederà? Al momento non lo sappiamo”.



La Cina ci sta inviando una équipe di medici per aiutarci ad affrontare il coronavirus. Cosa è successo?

È successo che sì la Cina si è mossa tardi, però lo ha fatto con grande efficienza e sistemicità. Sono stati compiuti passi molto decisi, simbolici e sostanziali: non dimentichiamo che i responsabili politici della provincia di Hubei, la zona colpita, e il sindaco di Wuhan sono stati licenziati.



Quali altri fattori hanno reso possibile la sconfitta del virus? 

La Cina ha imposto una quarantena molto rigida su tutto il paese. Estremamente rigida nella regione del focolaio, ma drastica anche in città lontane come Pechino e Shanghai. Ha funzionato. Adesso in buona parte del paese si comincia a tornare alla vita normale.

In Italia si dice che in Cina questo è stato possibile perché è una dittatura, mentre da noi le ordinanze del governo sono vissute con insofferenza. È così?

Ci sono condizioni diverse, i paesi sono diversi. I cinesi e tutta la civiltà confuciana, come in Giappone e in Corea, hanno un grande senso della comunità. C’è fiducia nelle istituzioni e quando lo Stato ordina. E lo Stato sa come dare ordini. La gente sa obbedire e i leader sanno comandare. 



Quindi?

La macchina si mette in funzione molto meglio. In Italia c’è una tradizione diversa. I cittadini non si fidano dei governi, c’è una tradizione di sfiducia, di individualismo. Questa è una pestilenza e richiede meccanismi di guerra, c’è poco da fare. Oggi purtroppo viviamo una situazione diversa dalla normalità per chi deve obbedire, ma anche chi comanda deve imparare a comandare. Non puoi dare ordini contraddittori a distanza di poco tempo. Non devi andare continuamente in televisione. Parlano i sindaci, i governatori, chiunque. Non è possibile. Tutto genera confusione e ridicolo, all’interno e all’esterno.

Col senno di poi tutti dicono che abbiamo sbagliato all’inizio, ma le pandemie in futuro ci saranno ancora. Abbiamo imparato qualcosa?

Non è così. C’è chi aveva detto che era una cosa seria sin da prima che scoppiasse in Italia, ma non è stato ascoltato. E non credo che le pandemie siano un destino inevitabile. Anzi, solo il coronavirus è una pandemia. Negli ultimi 17 anni abbiamo avuto due episodi del genere, la Sars e il coronavirus, tutte e due generati in Cina per un problema sostanziale.

Quale?

C’è un problema di non assimilazione tra città e campagna. C’è una città con un ceto medio sviluppato e una campagna primitiva, e questo succede solo in Cina. Ecco perché queste epidemie sono nate solo lì. In Africa, ad esempio, c’è un sistema primitivo, ma i privilegiati vivono in un altro mondo, ben differenziato, e quando viaggiano non diffondono l’Ebola. C’erano tutti i segni che fosse un pericolo, ma interrompere i voli diretti con la Cina è stata per noi l’origine del male. Il virologo Burioni diceva che dovevamo mettere in quarantena tutti quelli che arrivavano dalla Cina, ma non è stato fatto. 

Non abbiamo imparato la lezione?

Non ancora: il coronavirus è solo la punta dell’iceberg, le pestilenze non arrivano mai da sole. Portano grandi cambiamenti sociali dentro i vari paesi colpiti, ma anche sommovimenti internazionali. L’aumento delle tensioni fra Russia, Turchia e Arabia Saudita, l’indebolimento del governo in Iran, la rielezione di Trump che potrebbe essere messa a rischio. Nei prossimi mesi ci saranno grandi cambiamenti internazionali.

Che Cina esce da questa storia?

È una Cina che dimostra la sua resilienza e la sua complessità. Resilienza, perché tutti dicevano che questa sarebbe stata la Chernobyl della Cina, l’inizio del crollo. In realtà, abbiamo visto che il governo è riuscito a riprendere in mano la situazione. Ciò detto, però, le contraddizioni che hanno dato vita a questa pestilenza e le problematiche che la Cina ha con i vicini e con gli Usa aumenteranno. Pechino ha grandi capacità di reazione, ma nei prossimi mesi dovrebbe usarle per cambiare radicalmente e adattarsi alle dinamiche della globalizzazione. Speriamo che ciò accada.

(Paolo Vites)

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