Il Governo della Cina usa il pugno di ferro per provare a contrastare, non solo a livello medico, il morbo del Coronavirus: dopo che in meno di un mese il contagio dell’epidemia è arrivato a infettare 20.677 persone, di cui 20.483 solo in Cina (con 427 morti, solo due in Filippine e Hong Kong, tutti gli altri sono cinesi), il Partito Comunista di Xi Jinping ha provato a prendere misure drastiche anche per dimostrare al mondo che di Pechino ci si può ancora fidare. Il problema è però il contenuto di questi provvedimenti, alcuni ancora lontani anni luce da uno Stato di diritto democratico: i tribunali dell’Alta Corte di Heilongjiang hanno stabilito la pena del carcere fino a 15 anni per chi anche solo diffonde “voci” infondate sull’epidemia, allo scopo di sovvertire l’ordine nazionale. Insomma quell’infodemia denunciata anche dall’Oms, ora viene contrastata anche da Pechino con misure ad hoc davvero durissime. Sono poi 7 gli anni di galera previsti per chi rifiuta la quarantena, mentre è stat decisa addirittura la pena di morte per chiunque scoperto a «diffondere intenzionalmente il Coronavirus», scatenando le ire delle comunità di dissidenti cinesi oltre che diverse associazioni umanitarie a livello globale.



LE PENE DELLA GIUSTIZIA CINESE SUL CORONAVIRUS

L’Alta Corte di Pechino, sebbene non abbia spiegato nel merito cosa si intende per «diffusione intenzionale del Coronavirus», ha poi sancito che combatterà con ogni mezzo il traffico di farmaci contraffatti che sta prendendo sempre più piede nei cittadini cinesi letteralmente terrorizzati dall’epidemia del virus 2019-nCov. Nel frattempo, solo due giorni fa, è stato liberato e riabilitato il medico cinese Li Wenliang che fu il primo ad accorgersi del pericolo contagio e provò a raccontare la verità alla Cina e al mondo interno: venne arrestato per aver diffuso voci false e fake news. Peccato che quella sua personale lotta contro il silenzio del Governo comunista era non solo veritiera ma necessaria e forse avrebbe potuto evitare se non l’intera epidemia almeno una riduzione del contagio, facendo intervenire diversi giorni prima il controllo sanitario globale. Intanto, in un accorato appello alle compagnie aree di tutto il mondo (e dunque implicitamente anche agli Stati partner commerciali e turistici), il Governo di Pechino ha ordinato di non sospendere i voli da e per i Paesi stranieri che non abbiamo un divieto imposto ai viaggiatori cinesi: «Allo scopo di rispondere alle necessità dei passeggeri dentro e fuori il Paese, e per garantire gli approvvigionamenti in questo particolare periodo, l’amministrazione chiede alle linee aere di garantire la continuità dei trasporti verso nazioni che non hanno imposto restrizioni di viaggio».

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